Rinascimento: movimenti del corpo, movimenti dell’anima

Di Laura Corchia

Alberti, nel De Pictura, raccomanda che i movimenti delle figure rappresentate convengano non solo con l’azione dell’istoria, ma anche al sesso e all’età dei personaggi. Così, le vergini avranno movimenti “ariosi” e l’ondeggiare “simile alle fiamme” delle chiome e delle vesti potrà ribadire la loro eterea leggerezza. Il Rinascimento è noto come quel periodo in cui le figure prendono vita e forma e, come insegnerà Leonardo, si cercherà di imprimere  nei volti “i moti dell’anima”, quell’infinita varietà di sentimenti che interessa l’uomo in quanto essere vivente.

Domenico Ghirlandaio, Storie di san Giovanni il Battista: nascita di Giovanni, 1485-1490, affresco, Chiesa di Santa Maria novella, Cappella Tornabuoni
Domenico Ghirlandaio, Storie di san Giovanni il Battista: nascita di Giovanni, 1485-1490, affresco, Chiesa di Santa Maria novella, Cappella Tornabuoni


L’ancella raffigurata da Domenico Ghirlandaio nella Nascita del Battista (1486-149) ha vesti che, volteggiando, introducono un senso di dinamicità all’intera composizione. Nei primi anni della sua attività, Leonardo si dedica allo studio del moto, motivo che riprenderà alla fine della sua carriera. Così, gli abiti delle danzatrici da lui schizzate su una matita prendono vita e forma e sembrano invitare l’osservatore a muovere qualche passo di danza.

L’origine del motivo è da ricercarsi nella statuaria antica, da cui gli artisti del Rinascimento desunsero il gusto per il pathos dionisiaco. La danza può prendere ritmi frenetici, trascinando in un turbine putti, fanciulli ed angeli. É questo il caso della bella Cantoria (1433-39) scolpita da Donatello, in cui una serie di sfrenati putti sembrano rincorrersi all’interno di un edificio scandito da colonnine. All’opposto, un sereno equilibro ed una classica compostezza rappresenta la cifra stilistica con cui Luca della Robbia rappresenta Musicanti e fanciulli danzanti (1433-39).

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Nel 1475, Antonio Del Pollaiolo incide a bulino una Battaglia degli Ignudi: la violenza in atto è messa in evidenza dai movimenti esasperati delle figure, dalla tensione muscolare dei corpi, dai gesti eccessivi di braccia e gambe. L’energia distruttrice è poi amplificata dall’horror vacui della composizione. Il dramma è ulteriormente rappresentato nei volti, maschere contratte nel grido dell’aggressione o nell’urlo del dolore fisico.

Ed è così che i moti del corpo diventano sofferenze dell’anima. “Questi movimenti d’animo si conoscono dai movimenti del corpo” , dirà Leon Battista Alberti. Donatello sceglie di rappresentare il più straziante episodio della iconografia cristiana: Il compianto sul Cristo morto (1446-1450) per la Basilica di sant’Antonio a Padova. Dietro le figure maschili che depongono il corpo di Gesù nel sepolcro, le pie donne irrompono con movimenti scomposti, urlando la loro pena attraverso le braccia sollevate al cielo. Ancora una volta, la lezione è tratta dai rilievi classici ed, in particolare, dal sarcofago con la Morte di Meleagro (Firenze, Palazzo Montalvo), dove le donne piangenti si strappano le chiome e riversano le braccia all’indietro.

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L’intensità patetica del Compianto troverà la massima espressione nel Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca: il volto straziato dal dolore è enfatizzato dal turbinio delle vesti, dalle pieghe tormentate.

Niccolò dell'Arca, Compianto dul cristo morto, 1463-1490, terracotta, Chiesa di Santa Maria della Vita, Bologna
Niccolò dell’Arca, Compianto dul cristo morto, 1463-1490, terracotta, Chiesa di Santa Maria della Vita, Bologna

 

L’adesione ad una realtà straziante e è evidente anche in pittura, i cui esiti più alti furono raggiunti da Ercole de’ Roberti e da Rogier van der Weinden. Qui, le lacrime hanno una forte evidenza tattile, l’istinto è quello di asciugarle e sembra quasi di poterne avvertire la loro umida consistenza.

Parallelamente all’intensificazione patetica dei movimenti esteriori, si sviluppò anche una poetica del dolore contenuto, di profondo scavo interiore. Questo sentimento contenuto è evidente nella Pietà di Brera dipinta da Giovanni Bellini nel 1460-65, come precisa l’iscrizione sul cartiglio dipinto sul sarcofago, il dolore è trattenuto alla soglia degli occhi, finestra dell’anima: “come questi occhi gonfi di lacrime emettono questi gemiti, così l’opera di Bellini potrebbe piangere”. 

Giovanni-Bellini-Pietá_(1465)

 

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