“Cherchez la femme!”: a caccia di donne

Di Angela Stefani

“Secondo le più competenti autorità la donna perfetta dovrebbe essere conformata come segue: altezza 5 piedi e 4 pollici – il busto centimetri 91 ½ – taglia centimetri 66 ¼ – le anche 94 centimetri – le cosce 83 centimetri – i polpacci 37 – le caviglie 20 centimetri e mezzo – il piede centimetri 16 ½ – le mani centimetri 11 ½. Il peso del corpo di una donna perfetta non deve essere di molto inferiore né sorpassare i 60 chilogrammi [….]”.

A leggere questo estratto indirizzato agli artisti ormai alle soglie del Novecento ci si rende conto della gran necessità di avere modelle da copiare e…. di un certo tipo! Evidentemente il soggetto era all’epoca tra i più frequenti vuoi a fini di studio accademico, vuoi a fini artistici, vuoi per altri fini ….

Remigius Geyling, Klimt riposrta sulla tela i suoi studi per la Filosofia, 1902 ca


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le informazioni riportate per la modella perfetta non trascurano nessun dettaglio fisico, fissano dei parametri molto chiari tanto che il paragone con gli standard delle fiere canine, zootecniche e simili è inevitabile…. Certo, la donna e il nudo femminile sono sempre stati soggetti dell’arte e, pur trasformati i contenuti e le finalità della rappresentazione nel corso della storia, la materia prima, ovvero la modella, è stata, inevitabilmente, “selezionata e premiata” secondo il gusto e lo scopo del momento. Gli artisti –maschi- quali “giudici selezionatori”, hanno provveduto a fissare lo standard dell’epoca (una donna silfide per il Cinquecento tedesco, una ben messa nel Seicento fiammingo e così via). Un’operazione avvenuta attraverso una sorta di “mercato di modelle” di cui rimangono i nomi nei casi più celebri quali: Carolina Zucchi per Francesco Hayez, Adele Bloch-Bauer tra le tante chiacchierate per Gustav Klimt e Marie-Thérèse Walter tra le muse – amanti “a scadenza” di Picasso, solo per citarne alcune dell’epoca moderna, decisamente più concrete e reali di quelle ideali quasi leggendarie del Rinascimento (ad esempio la celebre Fornarina di Raffaello).

Gustav Klimt, Judith I, 1901, Öl auf Leinwand, 84 x 42 cm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Picasso, Le Rêve, 1932

Quel che successe dopo la modella perfetta sopra citata è storia nota: i cambiamenti sociali e culturali contribuirono a spostare l’attenzione dalle “donne sulla tela” alle “donne davanti alla tela”. Le artiste ebbero via via più libertà d’essere rispetto ai casi celebri che la Storia ci ha tramandato (Sofonisba Anguissola di famiglia nobile o Artemisia Gentileschi e Marietta Robusti entrambe figlie d’arte) e, a partire dalla primissima che sdoganò l’Accademia d’Arte – Rosalba Carriera- il binomio “donna-artista” divenne nell’Ottocento più o meno lecito e accettabile entro certi parametri di decoro e decenza. Così nel corso del Novecento, oltre alle artiste, vi furono vere e proprie rivendicazioni come quella del gruppo Guerilla Girls degli anni ottanta. Dal secondo dopoguerra comunque la strada è stata tutta in discesa: di fatto presenze femminili importanti si sono affermate nelle diverse correnti artistiche come Marisa Merz (1926 – ivi 2019) – recentemente scomparsa- o Marina Abramovic (n. 1946) che non è solo un’artista, ma è l’artista della performance art.
Un traguardo raggiunto lentamente perché le donne “davanti alla tela” hanno avuto carriere non facili e neanche troppo gloriose. Basti pensare solo ad alcune vicende biografiche come quella di Berthe Morisot (1841 – 1895) che da pittrice del gruppo impressionista diventa, moglie- pittrice di scene di vita domestica e infine solo vedova di Eugène Manet, unico epiteto presente nell’epigrafe posta sulla tomba di famiglia accanto al più celebre cognato Édouard Manet. Forse peggio è andata a Camille Claudel (1864 – 1943), scultrice promettente finisce nell’orbita di Rodin rimanendo allieva talentuosa, amante, modella e, alle volte, scultrice indipendente, mai veramente affermata anche se largamente apprezzata; il finale è pessimo dato che non più amante, né modella, né allieva né tantomeno scultrice, è la donna malata ricoverata nel manicomio di Montfavet dove morirà. E anche nei casi di acclarata fama, come quello di Frida Kahlo (1907 – 1954), non va meglio dato che “la donna e l’artista” sono imprescindibilmente legate al celebre muralista Diego Rivera in un rapporto di odio amore, di alunnato e dipendenza, difficile da ignorare tanto che, seguendo il marito negli Stati Uniti, Frida deve precisare di non essere Mrs Ribeira, ma Frida Kahlo!

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Manet, Il riposo (Berthe Morisot),1870

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rodin, La pensée (Camille Claudel), 1886-89

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rivera, Ritratto della moglie Frida, 1939

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Manet, Il riposo (Berthe Morisot),1870 Rodin, La pensée (Camille Claudel), 1886-89 Rivera, Ritratto della moglie Frida, 1939
E se gli studi attuali e il prolificare di mostre(da ricordare l’indagine della New Art History degli anni Settanta in ambito anglosassone oltre alla più recente mostra -The Renaissance Nude , Royal Accademy di Londra – che ha visto la parità nel numero dei nudi maschili e femminili esposti) rendono giustizia a gran parte di loro, restano ancora nell’ombra un’altra tipologia di donne legate all’arte. Poco conosciute esse non sono né quelle sulla tela, né davanti alla tela, ma sono, per così dire, quelle “dietro la tela”. Non modelle, non artiste, ma registe di tendenze e di correnti nel mercato dell’arte, promotrici, o in alcuni casi fautrici, delle carriere degli artisti stessi.

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Margherita Sarfatti allo scrittorio nello studio di un suo appartamento romano, 1930 ca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I loro nomi sono ancor più sconosciuti di quelli delle categorie precedentemente citate -forse perché sorte in tempi più recenti- e quand’anche noti, lo sono per i motivi sbagliati. E’ il caso di Margherita Sarfatti (Venezia, 1880 – Cavallasca, 1961) la cui fama è legata ancora oggi, sfortunatamente, più ai legami con il partito fascista e all’ingombrante figura del Duce che al ruolo fondamentale di critica d’arte e di fondatrice del gruppo Novecento. Ben presto deve essersi accorta dell’errore, tanto più vista l’origine ebrea, allontanandosi dal partito di Benito che tuttavia aveva già provveduto a disamorarsi di lei, sia della donna sia del suo Novecento. La figura della Sarfatti ci introduce comunque ad un vero e proprio “mondo nuovo” un mondo ancora maschilista dove però la donna riesce ad esercitare le proprie capacità critiche nel settore artistico aggiornando così, anche in quest’ambito, il ruolo avuto in passato ovvero quello di benefattrice. E’ il caso quest’ultimo di Felicita Bevilacqua La Masa (Verona, 1822 – Venezia, 1899) giovane risorgimentale, prende la via dell’arte in limine vita lasciando nelle proprie volontà testamentarie il palazzo Pesaro (già Gradenigo) al Comune di Venezia con l’obbligo di sostenere i giovani artisti. Le due hanno in comune certamente un’indipendenza di carattere esercitata però in settori, in modi e in epoche tutte diverse.

 

Galka Emmy Scheyer Katherine Sophie Dreier Hilla von Rebay Grace McCann Morely
Possiamo andar a caccia di altre donne che hanno avuto, nell’ambito della critica d’arte, un ruolo determinante. Per esempio Galka Emmy Scheyer (Braunschweig, 1889 – Los Angeles, 1945) attiva negli Stati Uniti come una moderna promoter per lanciare il gruppo Die blaue Vier (1924) composto da Lyonel Feininger, Vasilij Kandinskij, Paul Klee ed Alexej Jawlensky, un collettivo artistico fondamentale per la diffusione nel contesto americano dei nuovi significati portati dall’arte d’avanguardia tedesca. Sempre in quel periodo in cui l’Europa andava svuotandosi di gran parte della sua intellighentia e la riversava oltreoceano, Katherine Sophie Dreier (New York 1877 – Milford, Connecticut, 1952), americana di origini tedesche, è la figura principale del panorama artistico e culturale degli anni Venti; una di quelle che orientavano il gusto dei collezionisti ed educavano il pubblico all’arte contemporanea; pittrice, ricca collezionista (almeno fino al ‘29), ma soprattutto fondatrice della Société Anonyme e responsabile delle relative iniziative culturali conclusesi nel 1940 con la donazione alla Yale University delle relative collezioni. Qualche riserva su di lei rimane a leggere l’apologia di Hitler nelle sue lettere a Duchamp, ma le resta indiscusso il merito di aver realizzato una vera e propria propaganda delle principali ricerche internazionali d’avanguardia. Altra protagonista dai natali tedeschi è Hilla von Rebay (Strasburgo, 1890 – Green Farms, 1967), pittrice, ma soprattutto consigliera fidata e curatrice della collezione di Solomon R. Guggenheim che aprirà il celebre museo nel 1939: a lei si deve gran parte delle scelte e degli acquisti per conto della Solomon R. Guggenheim Foundation già nata nel 1930. Altro pezzo da novanta Grace McCann Morely (Berkeley 1900 – New Delhi 1985) prima direttrice del San Francisco Museum (1935 – 1954), uno dei pochi all’epoca negli Usa dedicati all’arte contemporanea, con un’attività frenetica che la vedeva intenta alla curatela di oltre 100 mostre all’anno e un’appassionata e costante azione per diffondere il patrimonio museale al più vasto pubblico possibile ….non a caso è stata una delle fondatrici dell’ICOM (International Council of Museums).

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Peggy nella galleria Art of This Century

Ultima, ma non per importanza, Peggy Guggenheim (New York 1898 – Camposampiero – PD 1979), regina fra tutte, o forse bisognerebbe dire dogaressa, visto il profondo amore che la lega a Venezia, città in cui giunge definitivamente dopo una serie di peregrinazioni per l’Europa e una tappa forzata negli Usa durante il secondo conflitto mondiale. Dall’esperienza di gallerista (celebre l’attività a New York con la galleria Art of This Ccentury) Peggy matura negli anni un vero e proprio fiuto per gli artisti ancora sconosciuti; le sue scelte, indipendenti da quelle dello zio Solomon, la vedono profondamente connessa agli artisti a cui è legata anche da amori più o meno duraturi, arrivando a ideare per loro vere e proprie campagne di lancio come nel caso di Pollock e Tancredi.
“Chercez la femme” (Cercate la donna) è proprio il caso di dirlo anche se con un significato profondamente diverso da quello che intendeva il generale di polizia Antoine de Sartine nel racconto di Dumas padre(A. Dumas, Mohicans de Paris,1854) dato che questa volta la femme non è la causa del problema, ma il motore dell’arte!

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