Antico e moderno nelle collezioni venete tra Cinquecento e Settecento

Di Laura Corchia

L’interesse per la civiltà classica orientato verso la Grecia e l’arte ellenica costituisce uno dei caratteri distintivi del collezionismo di area settentrionale.

A Padova, le raccolte del Tomeo e del Bembo, non appaiono esclusivamente rivolte al passato ma mostrano alcune significative aperture ai valori del presente.

La fisionomia e il carattere di queste due raccolte si evincono dalla descrizione di Marco Antonio Michiel, nel testo Notizia di opere del disegno.

Nella collezione del Bembo spiccava la famosa “mensa isiaca”, tavola in bronzo con figure d’argento di arte egizio – romana, descritta dall’umanista Ludovico Beccadelli, e numerosi ritratti.

Busti di antichi romani e dipinti raffiguranti letterati illustri avevano lo scopo di trasmettere messaggi etici e morali e stabilivano un parallelo con la raccolta del Giovio a Como.

Al Petrarca, di cui il Bembo fu un appassionato esegeta, si legava un ritratto di Laura, ora perduto. La raccolta comprendeva, inoltre, un manoscritto del V sec. d.C contenente i frammenti delle Georgiche e dell’Eneide di Virgilio.

Lacollezione del giurista e letterato padovano Marco Mantova Benavides ci è nota da alcune sintetiche notizie del Michiel e soprattutto dal testamento del proprietario steso nel 1581 e da un più tardo inventario. Gli oggetti furono lasciati ai figli con l’obbligo di non disperderli. L’inventario seicentesco ci informa che gli oggetti comprendevano artificialia e naturalia:  statue antiche e all’antica, dipinti contemporanei, calchi e gessi, monete, vasi istoriati, fossili, conchiglie, fossili e animali impagliati e che erano sistemati in tre ambienti distinti su scansie appositamente costruite. Esse erano intervallate da nicchie con statue antiche ed erano sormontate da un cornicione sul quale poggiavano teste di marmo, gesso o terracotta e vasi paleoveneti. Inoltre in alto sul muro erano appesi stampe e quadri. L’imponente numero di calchi e bozzetti, modelli in cera e in gesso, imitazioni in stucco e falsi all’antica provenivano forse da una bottega d’artista e testimonia gli interessi del proprietario ai processi di creazione e genesi dell’opera d’arte.

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La grande collezione di Mario Bevilacqua era collocata nel palazzo di famiglia, la cui facciata era scompartita da nicchie con busti di imperatori sul modello di Palazzo Farnese. Una prima sintetica descrizione ci è offerta da Cristoforo Sorte, pittore e incisore. I dettagli, invece, si ricavano dal resoconto del letterato Scipione Maffei. La raccolta era sistemata nella galleria e in due ambienti contigui e comprendeva ritratti, quadri, stampe, sculture e un ridotto musicale.

A Venezia le singole famiglie tendevano a utilizzare il proprio patrimonio per glorificare le proprie origini, per aumentare il proprio prestigio, per nobilitare la posizione sociale. In tale ottica le raccolte erano viste come una forma di investimento culturale e commerciale. Se nel 400 esse riguardavano soprattutto reperti greci di piccola e media dimensione, nei primi anni del 500 si rivolsero anche all’arte contemporanea. Le raccolte patrizie, infatti, si fregiavano di ritratti degli antenati e dei membri della famiglia ancora viventi, molti dei quali eseguiti da Giovanni Bellini. Un elenco delle raccolte più famose è fornito dal Sansovino ed è relativo all’anno 1581.

 

Le più modeste collezioni dei borghesi e dei commercianti assumevano invece una duplice funzione: strumento di elevazione sociale e nobilitazione culturale e spirituale del proprietario.

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La raccolta di Andrea Odoni ci è nota da una descrizione di Marco Antonio Michiel e da una lettera dell’Aretino. Quest’ultimo, inoltre, considera il Michiel uno straordinario conoscitore, come attesta una lettera del 1545.

Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527, olio su tela, Royal Collection, Castello di Windsor
Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527, olio su tela, Royal Collection, Castello di Windsor

La casa dell’Odoni, definita dal Vasari “Albergo dei Virtuosi”, era aperta ai dotti e agli artisti. Nella corte da basso erano esposte all’aperto sculture antiche e moderne. Nello studio erano custoditi oggetti di oreficeria e di glittica, manoscritti miniati e curiosità naturali. Nella loggia chiusa vi era una straordinaria raccolta di pittura fiamminga, locale e lombarda. Nella camera da letto, infine, spiccava lo splendido ritratto dell’Odoni dipinto da Lorenzo Lotto nel 1527 e nella camera attigua alcuni ritratti provenienti dalla smembrata collezione di Francesco Zio.

Aldo Manuzio descrive  la raccolta del senatore Andrea Loredan che comprendeva medaglie, ritratti di uomini illustri e statue.

La collezione del nobile Gabriele Vendramin ci è nota dall’elenco del Michiel , dagli inventari stesi dai maggiori artisti in qualità di esperti e da una testimonianza di Anton Francesco Doni. Essa comprendeva, oltre ad alcune opere fiamminghe, la celebre Tempesta del Giorgione e altri 5 dipinti dello stesso. Il Vendramin, nel suo testamento, raccomanda agli eredi di evitare la dispersione e la vendita della sua importante raccolta.

La raccolta di Andrea Martini comprendeva il Ganimede, descritto entusiasticamente dall’Aretino e da Enea Vico che ne riporta il caso del piede mancante ritrovato nella collezione del Bembo. L’opera passò poi, infrangendo le volontà testamentarie del possessore, in mani sempre più prestigiose fino ad approdare nelle collezioni di Federico il Grande.

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Alla metà del secolo fiorì a Venezia una notevole attività edilizia da parte delle famiglie emergenti cui si affiancò una decisa politica culturale da parte della Serenissima. Molti collezionisti sentirono la necessità di destinare la propria raccolta non più agli eredi ma all’uso pubblico. Passano così a far parte dei beni della Serenissima gli studi del senatore Jacopo Contarini e quella di Federico Contarini che, come illustrano lo Scamozzi e il testo della lapide mortuaria del Contarini andranno a completare lo statuario Grimani.

Domenico Grimani lasciò infatti tutti i suoi beni alla Repubblica che li collocò nella Sala delle Teste del palazzo Ducale. Il nipote offrì inoltre allo stato la sua importante collezione di marmi e la sua famosissima dattiloteca. Come sede del nuovo museo fu scelta la Libreria Marciana e l’incarico di allestire il nuovo spazio fu affidato allo Scamozzi che creò nicchie e basamenti continui intorno alla sala, le cui pareti furono divise in tre intercolumni continui mediante l’inserimento di pilastri corinzi. La disposizione ci è documentata sia da alcuni disegni a sanguigna dello Zanetti (1736) sia dalla descrizione del Temanza. L’esposizione e la catalogazione dei pezzi fu curata dal professore Federico Contarini e lo Statuario pubblico fu così accessibile a partire dal 1596 e fu il terzo museo aperto al pubblico in Italia.

 

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