Ti racconto la ‘Colazione dei canottieri’ di Renoir

Di Laura Corchia

Il ristorante La Fournaise era aperto dal 1857. Il proprietario, Alphonse Fournaise, si era innamorato sin da subito di quel luogo ameno e lontano dalla frenesia della città. Persino le tumultuose acque della Senna sembrano trovar riposo in quell’angolo di mondo. L’aria salubre e il paesaggio campestre erano l’ideale per trascorrere le domeniche in compagnia. Pittori, critici, uomini d’affari, donne dello spettacolo e scrittori abbandonavano volentieri la tumultuosa Parigi per incontrarsi sotto la veranda del ristorante, che si affacciava direttamente sul fiume. La tenda a righe bianche e rosse offriva riparo dai caldi raggi del sole e una leggera brezza estiva rendeva il pranzo piacevole. Attorno alla tavola imbandita si erano ritrovati gli amici di sempre. I resti del pasto erano ancora sulle bianche tovaglie sgualcite e il vino aveva arrossato le guance.

Auguste, come al solito, aveva approfittato dell’occasione per isolarsi dal resto del gruppo e per ritrarre quell’atmosfera festosa e rilassata.

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Appoggiata alla ringhiera, la giovane Alphonsine ascoltava le chiacchiere del barone Barbier. Suo fratello, dallo sguardo assorto, sembrava invece essersi ritagliato un momento di solitudine e di riposo. Le salde braccia erano messe in risalto dalla canottiera bianca. Il petto giovane e virile era quello di chi trascorreva le giornate a trascinare canoe.

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In lontananza, due uomini si erano appartati per discorrere con discrezione. Erano Charles Ephrussi e Jules Laforgue. I loro discorsi erano sempre incentrati sugli affari o sulle ultime stampe giapponesi acquistate da Ephrussi. Approdato a Parigi nel 1871, si era appassionato sin da subito all’arte degli impressionisti, arrivando anche a scrivere su laGazette des Beaux-Arts. Al giornale collaborava anche Laforgue ma, ad articoli e saggi, preferiva le poesie. Erano gli anni delle sue prime pubblicazioni, dei suoi successi. Gli impegni nella capitale erano fitti e proficui, al punto da impedirgli di fare ritorno nella città natale per salutare il padre nel suo ultimo viaggio.

Tutto in quel giorno era illuminato da un sole alto ed Auguste non poteva trascurare il suo lavoro. Di tanto in tanto, staccava lo sguardo dalla tela e si univa all’allegria generale. Poi il pensiero tornava su quel quadro. Voleva almeno terminare l’abbozzo delle figure principali, fermare l’attimo sulla tela.

Da dove si trovava, Alphonsine poteva vedere solo le mani esili e delicate di Auguste. Non mescolava quasi mai i colori sulla tavolozza, molto spesso li spremeva direttamente dai tubetti. Con una mano reggeva con naturalezza la tavolozza, come se si trattasse di un vassoio di cialde colorate. Di fronte a lui, Aline giocava con il piccolo cagnolino. L’amava come il primo giorno, come quando la vide per la prima volta nel laboratorio di sartoria vicino a Montmatre. Auguste fu folgorato da quella campagnola. Rossa, naso all’insù, forme voluttuose e sensuali, una spontaneità che la rendeva diversa da tutte quelle parigine viziate. Aline era compagna, modella, amante, amica. L’avrebbe sposata, non appena sarebbe riuscito a mettere da parte un po’ di risparmi. Quel cappellino di paglia la rendeva irresistibile e quei fiori che le adornavano il capo ricordavano la Borgogna, regione che l’aveva vista nascere e crescere. Si amavano da appena un anno, ma per Auguste era come se si conoscessero da sempre. Due anime destinate ad incontrarsi e a restare insieme per tutta la vita.

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Di fronte ad Aline, Gustave Caillebotte sedeva a cavalcioni su di una sedia. A differenza dell’amico e collega, aveva deciso di lasciare da parte il lavoro e di concedersi una giornata dedicata allo svago. Indossava il suo abito da canottiere e discuteva amabilmente con Angèle Legault e con Antonio Maggiolo, il giornalista che aveva lasciato l’Italia per cercare fortuna nella Ville Lumière.

Auguste osservava i suoi personaggi e cercava di coglierne la vera essenza, la luce che si posava sui loro corpi e li rendeva vivi. Intanto il tempo correva veloce e il sole stava per tramontare dietro al fiume.Quella terrazza avrebbe visto per altri venticinque anni scene festose come quella che Auguste aveva immortalato sulla tela. Ma l’incandescenza che baluginava in quel giorno, forse non sarebbe tornata mai più.

                                                                                  

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