Nella testa dell’Appennino: viaggio all’interno del gigante del Giambologna

Di Laura Corchia

A Pratolino, non provate a cercare la villa di Francesco I, costruita dal Buontalenti, perché non c’è più. Se n’è andata a far compagnia ai sogni del suo padrone. Nel 1824  Ferdinando III di Lorena la fece demolire e trasformò il giardino all’italiana in una specie di parco all’inglese. Nell’Ottocento, il complesso fu acquistato dal principe russo Demidoff. Fra balli e feste, Pratolino ritornò ad essere meta di aristocratici e intellettuali e, assieme alla villa, anche la spenta creatura chiamata “Appennino” tornò a vivere.

 

Questo Gigante dall’aria affranta fu costruito dal Giambologna fra il 1579 ed il 1583. Nei suoi recessi, Francesco I amava rinchiudersi per fare esperimenti o, semplicemente, per pescare attraverso piccole aperture. Il colosso ha una mole in muratura ed una pelle realizzata con intonaco affrescato, sul quale trovarono posto spugne e stalattiti fissate con barre e chiodi di ferro. L’interno era percorso da una fitta rete di condotti idraulici che davano vita a  giochi d’acqua ed automi.

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Ma il mistero dell’Appennino è tutto racchiuso nelle sue tre stanze, disposte su vari piani. La prima in basso è una caverna artificiale voltata a botte. Il dorso del gigante custodiva una sala ornata di “grottesco con spugne, nicchi e madreperle”, chiamata la “Grotticina”. A poca distanza era situata la Fonticina di Tedide, con gli zampilli che uscivano dalle bocche di splendidi animali.

Una ripida scaletta porta alle spalle del Gigante. Tre scalini e si è dentro la testa del Gigante. Sulla sinistra si apre una finestrella, mentre un’altra è dietro l’orecchio sinistro. Lo spazio è angusto e, visti da dietro, gli occhi del Gigante sono chiusi da due diaframmi che sembrano trasparenti. Dall’apertura posta in corrispondenza dell’orecchio, Francesco I si affacciava per ammirare il laghetto ed il parco.

“É stato costruito un gigante che ha la cavità dell’occhio larga tre gomiti e il resto il proporzione; da esso scende una cascata assai copiosa”. Così scriveva Michel de Montaigne nel 1580-81. L’illustre viaggiatore francese rimase colpito dagli artifici e dai giochi d’acqua: “Per mezzo del movimento dell’acqua – annotò – si producono non soltanto musiche ed armonie, ma si mettono in moto anche diverse statue e porte con diversi movimenti e molti animali che si tuffano nell’acqua per bere e altre cose simili […] pare che abbia scelto una posizione poco amena, sterile e montuosa, anche senza fonti, per avere il merito di andarle a cercare a cinque miglia più in là, ed altre cinque miglia la sabbia e la calce […] Questo principe è amante dell’alchimia e delle arti meccaniche e, soprattutto, un grande architetto”.  L’ospite d’Oltralpe ricordò di aver visto nelle stalle cammelli, leoni orsi e “un animale grande come un grosso mastino con l’aspetto di un gatto a chiazze bianche e nere, che chiamano tigre”.  

Di Bianca Cappello egli dice: “La Duchessa è bella per il gusto italiano, con un viso piacente e imperioso, il busto grosso e un seno come piace qui”. Il Duca è un uomo grosso, bruno, della mia statura, membruto; il viso e il contegno pieni di cortesia, sempre a capo scoperto in mezzo alla folla assai eletta dei suoi gentiluomini: ha l’aspetto sano e dimostra quarant’anni”. 

Impossibile prevedere la tragedia di sette anni dopo.

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