Sant’Agata: storia e iconografia

Di Laura Corchia

Le prime raffigurazioni di sant’Agata sono di epoca bizantina e si ritrovano in Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna e nella Basilica di Parenzo. In entrambe le opere, la santa appare con gli attributi generici dei martiri: la palma, il velo e la corona. Tra il XII e il XIII secolo, la Santa compare nei mosaici della Cappella Palatina a Palermo, nella Cattedrale di Monreale e nell’affresco di Santa Sofia a Kiev.

A partire dal XII secolo, sant’Agata viene rappresentata con i suoi attributi specifici: le tenaglie e le mammelle recise poste su un piatto.

Un interessante affresco raffigurante sant’Agata si trova nella Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. La Santa compare al centro della composizione e regge con le tenaglie, strumento del martirio, le sue mammelle recise. Tutt’intorno, si svolgono gli episodi salienti della sua vita, raffigurati in piccoli riquadri leggibili da sinistra a destra: La richiesta di Quinziano; La tortura delle mammelle; San Pietro risana la mammella; Il supplizio dei carboni ardenti; Sant’Agata ricondotta in carcere; La sepoltura della santa. 

Un altro esempio più tardo di questa iconografia è dato dall’opera di Giovanni da Fossano detto il Bergognone, in cui la santa è abbigliata con eleganti abiti cinquecenteschi. Bernardino Luini raffigura sant’Agata con il capo cinto da fiori di mirto che regge con la mano un’alzata contenente le mammelle.

Ambrogio da Fossano detto Bergognone, particolare cimasa del Polittico di San Bartolomeo, Bergamo, Accademia Carrara.
Ambrogio da Fossano detto Bergognone, particolare cimasa del Polittico di San Bartolomeo, Bergamo, Accademia Carrara.

L’arte rinascimentale privilegia la raffigurazione del momento del martirio. Sebastiano del Piombo raffigura nel 1520 il Martirio di sant’Agata. Nell’opera, conservata a Palazzo Pitti, compare la Santa accompagnata dai suoi carnefici. Questi, attraverso grosse tenaglie, sono colti nell’atto di recidere le mammelle, mentre sullo sfondo si prepara il supplizio dei carboni ardenti.

Sebastiano del Piombo, Il martirio di Sant'Agata, Firenze, Palazzo Pitti.
Sebastiano del Piombo, Il martirio di Sant’Agata, Firenze, Palazzo Pitti.

La rappresentazione del martirio ritorna in pieno Rococò: infatti, Giambattista Tiepolo rappresenta, con drammaticità e pietà, il violento martirio subìto dalla Santa nel momento in cui la donna presente si preoccupa di coprire la ferita e in alto il carnefice non ha ancora riposto gli strumenti del martirio.

Nel periodo barocco compare la raffigurazione di sant’Agata visitata in carcere da san Pietro e l’angelo. Giovanni Lanfranco dipinge una scena in penombra. La luce della candela portata dall’angelo rischiara i personaggi, in particolare la Santa, sul cui incarnato chiaro spicca la ferita. Questo tipo di illuminazione  rende la scena dolce e densa di mistero e sofferenza. L’atmosfera cupa ricorda il caravaggismo, ma anche notevoli sono le influenze emiliane, soprattutto certi stilemi provenienti dall’arte del Correggio.

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Giovanni Lanfranco, San Pietro risana Sant’Agata, Parma, Galleria Nazionale.

Nel ciclo dipinto per la Cattedrale di Gallipoli, Nicola Malinconico segue lo svolgersi della vita di sant’Agata e ne raffigura i momenti salienti. Entrando nella chiesa e volgendo lo sguardo verso il tetto, si scorge il dipinto raffigurante la Gloria di sant’Agata. L’opera è incastonata in una cornice sagomata e dorata e mostra al centro la Santa, circondata da angeli, putti alati e santi. In alto, un angelo è colto nell’atto di porgere la corona.

Ai lati della tela, altre due opere raffigurano San Pietro che visita Agata in prigione e l’Eruzione dell’Etna fermata dal velo di sant’Agata.

Nella tela che raffigura il Martirio, la giovane è posta al centro della composizione e mostra un’espressione del viso serena, nonostante il tormento a cui è stata sottoposta. Tutto intorno si staglia una moltitudine di figure maschili e femminili, mentre dall’alto giungono gli angeli a portare la palma del martirio.

Sulle pareti del coro, è posta la tela che raffigura Il sepolcro di sant’Agata. L’opera si caratterizza per la presenza di diversi personaggi, tutti colti da una particolare concitazione. Tra i tanti astanti, colpisce la figura che depone nel sarcofago una tabella con la scritta Mentem Sanctam Spontaneam Honorem Deo et Patriae Liberationem[1]. Sullo sfondo, il pittore riprende il prodigio del velo durante l’eruzione dell’Etna, sebbene tale episodio si verificò un anno dopo la morte della martire.

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Sempre nella zona del coro, il pittore partenopeo raffigura il processo subìto dalla giovane e le vicende che precedono la morte: la consegna di Agata alla cortigiana Afrodisia, Agata viene gettata nel carcere, la tortura delle mammelle, la medicazione da parte dell’apostolo Pietro, Il martirio sulla brace ardente, la morte di Agata e il Terremoto.

Nel Martirio sulla brace ardente, Agata è al centro della tela, distesa sui carboni. A sinistra i soldati sono colti nell’atto di attizzare il fuoco, mentre in alto un angelo alato reca una corona di fiori. Secondo la studiosa Domenica Pasculli Ferrara, la figura della martire       “richiama la Maddalena penitente del Giordano nell’Abbazia di Montecassino e la santa Rosa nel Museo del Prado di Madrid per l’atteggiamento intensamente estatico, per l’aureola di luce che intorno al volto crea riverberi e zone d’ombra sugli incarnati e sulle morbide vesti”[2].

Nella navata centrale, sotto il tetto ligneo, otto grandi tele si alternano alle grandi finestre e raffigurano un prodigioso evento che si verificò nell’agosto del 1126 a Gallipoli, allorquando le sacre reliquie di sant’Agata provenienti da Costantinopoli vennero ritrovate su una spiaggia non lontana dal paese. Il ritorno delle reliquie a Catania è testimoniato da un’unica fonte coeva, la lettera del vescovo Maurizio[3].

Dal punto di vista attributivo, gli studiosi non sono concordi se il ciclo del Ritrovamento della mammella spetti a Nicola oppure al figlio Carlo. Liborio Franza, nella sua Colletta istorica e tradizioni anticate sulla città di Gallipoli, a proposito delle tele che ornano il coro, la cupola, il soffitto e la navata centrale, indica in Nicola l’esecutore ed elenca con precisione quelle spettanti al figlio[4].

Lo storiografo Bartolomeo Ravenna, nelle sue Memorie Istoriche della città di Gallipoli non specifica se il ciclo in questione sia stato eseguito da Nicola o a Carlo e menziona un non identificato Cav. Malinconico[5]. La prima attribuzione a Carlo si ritrova nell’opuscolo La chiesa Cattedrale di Gallipoli  redatto da D’Elia nel 1906[6]. Della stessa opinione è il poligrafo gallipolino Ettore Vernole nel suo contributo dal titolo La mammella di Sant’Agata[7]. Nel 1941, dopo i restauri condotti sotto l’episcopato di Mons. Nicola Margiotta, viene redatto un breve articolo a cura di Carlo Corvaglia. L’autore attribuisce a Nicola le tele poste nella navata centrale[8].

Alla metà degli anni Settanta, le tele sono oggetto di nuovi restauri. Il volumetto redatto in occasione della riapertura indica in Carlo l’esecutore di tutte le tele, compresa quella posta nella controfacciata[9].

Domenica Pasculli Ferrara, nel suo articolo Bozzetti di Nicola Malinconico e Giovanni Andrea Coppola per la Cattedrale di Gallipoli[10], ritiene attendibili le notizie riportate da Liborio Franza e, a sostegno di tale attribuzione, ne cita le parole.

Gli studi condotti da Lucio Galante aprono a nuovi scenari. Secondo lo studioso, infatti, le opere di Gallipoli mostrano alcuni dislivelli di qualità. Ciò porterebbe a pensare che, dato il cospicuo numero di commissioni a cui Nicola Malinconico dovette attendere, probabilmente alcune tele furono eseguite dalla bottega su disegno del maestro[11].

Nel 1992, Michele Paone scrive un articolo dal titolo Culti ed immagini nella Cattedrale di Gallipoli dove si legge che  le tele poste nella navata centrale sono attribuite a Nicola[12].

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Con realismo e veridicità, gli avvenimenti si snodano lungo tutto il perimetro della navata e narrano: Il sogno di Goselmo; L’Approdo della barca con le reliquie di sant’Agata, Goselmo che lascia volutamente cadere la mammella della santa sulla spiaggia; La donna che si addormenta mentre la bambina succhia la mammella trovata; sant’Agata va in sogno alla donna e le rivela che la bambina ha in bocca la sua mammella; Il vano tentativo della madre che cerca di togliere dalla bocca della figlia la mammella; La donna che si reca dal vescovo per chiedere aiuto; Il tentativo del vescovo di convincere la bimba a lasciare quella mammella; La processione verso la città con la piccina tra le braccia del vescovo; L’arrivo dinanzi alla Cattedrale, dove si intonano le litanie dei santi; La bambina che, alla invocazione di sant’Agata, lascia cadere la mammella.

Probabilmente, per descrivere con esattezza gli avvenimenti, Nicola Malinconico deve aver fatto riferimento alle fonti e, in particolare, alla Santa Visita Pastorale[13] compiuta da mons. Montoja nel 1660.

A sua volta, il Montoja ricavò la descrizione da De Grassis, il quale pubblica nel 1647 De appulso reliquiarum sanctae Agathae Catanensis Callipolim coniectatio.

Va poi sottolineato che alcuni episodi dell’Invenzione della mammella di sant’Agata compaiono anche nelle mètope poste sulle trabeazione della navata centrale, del transetto e del coro.

 

[1] Agata spontaneamente e santamente si era votata ad onorare Dio e ad ottenere la liberazione della sua patria. Traduzione tratta da:  Barbino, A., 1997, pp. 132-133.

[2] Pasculli Ferrara, D., 1975-76, p. 48.

[3] Maurizio fu il successore di Ansgerio e fu Vescovo di Catania dal 1124 al 1144. La lettera ha il titolo De translatione Divae Agatae a Bisantyo Catanam. Un’antica copia esisteva nella Biblioteca di Santa Maria della Scale in Sicilia ed è riportata da padre Ottavio Gaetano, dai Bollandisti, da Rocco Pirro e da altri scrittori. Cfr: Ravenna B., ed. cons. 1836.

[4] Franza, L., 1836, p.58.

[5] Ravenna, B., 1836, p.329.

[6] D’Elia, F., 1906, p. 32.

[7] Vernole, E., 1926, p. 42.

[8] Corvaglia, C., 1941, p. 4.

[9] Memorie della Chiesa di Gallipoli, Gallipoli, Stefanelli, 1979, p. 45.

[10] Cfr: Pasculli Ferrara, D., 1975-76, p.45; Franza, L., 1836,  p.58.

[11] Galante, L., 1979, pp. 151-156.

[12] Paone, M., 1992, p. 124.

[13]«De Sacra Divae Agathae Mammilla. Anno Domini 1040 Regnante Michaele Paphlacone Costantinopoli, Maniaces eius Exarchus, corpus Beathae Agathae ex Catania Byzantyo conduxit. Post 86 annorum curriculum, dum orientale regebat Imperium Joannes Commenus, Gislibertus ex genere Gallus, et Goselmus Calabricus, Sacra Divae Agathae Reliquias ex Byzantio Cataniam reduxerunt. Apparuerat enin per nocturnam visionem Beatissima Virgo Agatha Gisliberto, illum praemonens, ut suum Corpus ab Ecclesia in qua jacebat latenter oblatum, Catanam, ubi pro Christo fuerat coronata martyrio, reportaret. Conscensa navi cum sacro Agathae Corpore, quod in duobus pharetris depositum, ne quovis indicio posset detegi (divina sic deponente gratia), Callipolis ad litora perverunt anno nostrae salutis 1126 mense Julio, ut ex majorum traditione habetur. Litus in quo descenderat situm est versus australem plagam, tria millia passium a Civitate distans, prope promontorium Cutrerii, lo puzziello nuncupatum, vel ut alii volunt, locus ille erat, ubi erat fons in quo Sacrati Corporis felices portitores, clam depositis artubus a pharetris, causa melioris repositionis, factum est Divino miraculo, ut reponentes gloriosas Reliquias, credentes ipsas jam reposuisse, extra dimiserunt gloriosam Divae Agathae Mammillam. Hinc navigio recedentes, brevi ad Siciliam pervenerunt.

Ad locum, ubi erat relicta Mamilla, foemina quaedam vidua, fama laudabilis, ac morum honestate venusta, causa abluendi pannos, cum quadam filia sua parvula, quam adhuc lacte nutriebat, advenit, quae lotis pannis, somno soporata, fortier obdormivit. Puella autem, naturali instictu, appetens refocillari, materna quaerebat ubera, ut lac sugeret, ut consueverat, eundonque manibus pedibusque discurrens, ad gloriosam Mammillam miraculo Divino pervenit, quam in ore ponens, illam surgere coepit, a qua lac mirae dulcedinis emanabat. Igitur puella maxima delectatione sugente, apparuit matri dormienti Virgo gloriosa dicens: surge ed vade, quia filia meam tenet in ore Mammillam.

Quae consurgens venit ad filiam, viditque illam Mamillam, sicut in somnis viderat in ore tenentem. Ea ibi relicta ad Civitatis Episcopum festinanter accurrit, et per ordinem explicavut, a quo convocato universo clero et populo in unum coadunato, venerunt processionaliter ad locum, ubi iam puella relicta fuerat; omnes ut simul advenerunt, Mammillam volentes extorquere ab ore puellae, nec blanditiis, nec vi valuerunt. Tunc praecepit Episcopus, ut omnes sacerdotes confiterentur cum devotione et reverentia, et quilibet per se deberet accedere ad puellam forte inter eos esset aliquis vita laudabilis, cui accedere ad puellam forte inter eos esset aliquis vita laudabilis, cui Mammilla divenitus condonaretur: quo etiam peracto, Mamillam, nec sic aliquo pacto habere potuerunt. Tunc sacerdos quidam bonae vitae, momumque honestate compositus dicit Episcopo: fiat processio in Ecclesia. Tunc praecipiente Episcopo, facta est dicta processio. Dum cantarent Litanias, et ad nullius Sancti vel Sanctae nomen Mamilla fuisset relicta, dum devenerit ad Beatam Virginem Agatham, ter cantates: Sancta Agatha Ora Pro Nobis, puella quam sacerdos gestabat in ulnis, Mamillam in ipsius sacerdotis sinum ab ore projecit, vidensque eam sacerdos, Episcopo reverenter tradidit, et sic perceperunt illam fuisse Mamillam gloriosae Virginis Agathae. Fuit tanta miraculi evidentia, et Cappipolitanorum versus Divam Agatham devotissima affectio, ut Ecclesia Cathedralis, quae tunc Sancti Joanni Chrysostomo dedicata erat, relicto eo nomine, titulo Sanctae Agathae insignita fuit, ac proinde non solum Diva Agatha Ecclesiae titularis, sed totius Civitatis vigilantissima tutelaris, et praestantissima Patrona remansit.

Fuit apud nostram Civitatem haec insignis Reliquia observata, et religiosissime custodia per statium annorum 254, ab anno scilicet 1126 usque ad annum 1380, quo tempore Tarenti Princeps Joannis Antonius Ursinus de Balzo, qui etiam Callipoli principabatur, sacram Mammillam a Callipolitanis ex auctoritate receptam in CoenobioDivae Catharinae a se eadificato in oppido Sancti Petri Galatini reposuit. Post multum vero temporis Callipolitani ex industria ex Monasterio praedicto Sacram Mamillam recuperaverunt; sed postea, ut solitam obedientiam et fidelitatem suo Regi servarent, Sacram Mamillam ex Mandato Regio in Castro Civitatis Lycensis deposita fuit, ex quo denuo tempore bellorum Regis Galliarum, Patres Olivetani, ad dictum Monasterium Sanctae Catharinae transtulere, ut ex supplicationes facta a nostra Universitate pro hac re Regi Federico anno 1497 omia clare patent. Quam sacram historiam paucis tamen libellis exaratam, hic subnectere libuit ad declarationem eiusdem facti, quod reprehesentat pures lapides insculpti, et sub fornice majoris cappellae praedictae in eius cornice, seu, ut vulgo frisone adapti.» A.C.V.G., Santa Visita Pastorale locale, di Mons. G. Montoja, 1660, in BARBINO, La Chiesa Cattedrale di Gallipoli, op. cit., pp. 124-126.

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