Nipote di Lionello e Borso d’Este e moglie di Francesco Gonzaga, Isabella riesce a fare di Mantova un polo di attrazione per letterati e artisti.
La ricchissima corrispondenza che intrattiene permette di far luce sulla sua brama di possesso, sui suoi costanti sforzi di aggiornamento culturale, sui suoi tormentati rapporti con gli artisti, ma anche sulle sue sconfitte femminili, sulle sue ansie e sulle sue delusioni.
Per la decorazione dei suoi “camerini”, Isabella utilizza i più rinomati artisti italiani e, a partire dal 1491, concentra i suoi sforzi nella creazione dello studiolo nel Castello di san Giorgio, residenza ufficiale dei Gonzaga.
Nel 1502 Francesco Malatesta invia una lettera a Isabella informandola della possibilità di acquisire i vasi in pietra dura appartenuti alla collezione di Lorenzo de’ Medici. La marchesa fa stimare questi oggetti da Leonardo spinta, tra l’altro, dal desiderio di assicurarsi una sua opera che non riesce peraltro mai ad ottenere, salvo il cartone preparatorio per un ritratto. In una lettera, infatti, commissiona all’artista di sostituire il ritratto promessole con un cristo giovinetto di circa dodici anni.
Sfruttando l’autorità del fratello cardinale Ippolito, si fa inviare da Cesare Borgia una Venere antica e un cupido appartenuti ai Montefeltro. Successivamente scoprirà che il cupido era una copia dall’ antico eseguita dal sommo Michelangelo. Alla richiesta di restituzione, giudicando il cupido “cosa moderna che non ha pari”, risponderà che il permesso di estradizione le era stato accordato dal duca di Urbino.
Le lettere a e di Michele Vianello, suo agente veneziano, costituiscono una inequivocabile testimonianza dello stressante braccio di ferro ingaggiato fra Isabella e gli artisti.
Nel 1503 stipula un contratto con il Perugino per un dipinto raffigurante la Lotta fra la Castità e i Vizi. Il documento testimonia i rapporti tormentati e autoritari che Isabella intratteneva con gli artisti a suo servizio, considerati dei semplici esecutori. La lettera indirizzata a Paride di Cesarara costituisce, infatti, una protesta e insieme un’ammissione di impotenza nei confronti degli artisti che non vogliono seguire i temi proposti e molto spesso rifiutano le oppressive indicazioni proposte.
E’ questo il caso di Giovanni Bellini che, attraverso una lettera del Bembo, rivendica la propria autonomia e la propria libertà creativa e rifiuta le oppressive richieste della marchesa.
Tra il 1505 e il 1506 la decorazione dello studiolo, affidata a Mantegna, Perugino e Costa, è terminata. La collezione di Isabella, composta di gemme, cammei, frammenti antichi, trova sistemazione in questo ambiente che, in virtù della diversità degli stili, intendeva proporre una sorta di gara fra i migliori artisti del tempo.
Il suo insaziabile desiderio di oggetti antichi è testimoniato dai suoi rapporti con Gian Cristoforo Romano, scultore di corte, che viene inviato a Roma per acquisire pezzi antichi. Egli, con una lettera, comunica alla Marchesa l’acquisto di un cupido ritenuto opera di Prassitele che poi troverà posto nello studiolo accanto a quello di Michelangelo.
Sfruttando le difficoltà finanziarie del Mantegna, riesce ad ottenere dal pittore un busto antico dell’imperatrice Faustina. Egli, infatti, in una lettera datata 1506, dichiara di aver contratto diversi debiti e, al fine di onorarli, è costretto a privarsi della preziosa opera per 100 ducati.
L’esigenza di assicurarsi pregiati pezzi antichi è attestata dalla corrispondenza tra Isabella e Taddeo Albano, suo agente veneziano. Inoltre la marchesa, avuta notizia della morte di Giorgione, cerca di assicurarsi una sua opera, ma riceve un netto rifiuto.
Nel 1522 Isabella, ormai vedova e anziana, si trasferisce nell’adiacente Corte Vecchia, dove continua ad incrementare le sue collezioni facendosi inviare dalle Fiandre numerosi paesaggi, come testimonia una lettera di Nicola Maffei.
I suoi appartamenti si componevano di ambienti privati e dello studiolo cui corrispondeva al piano sottostante la grotta e di camerini che si aprivano sui giardini segreti. Lo studiolo aveva un programma preciso mentre le grotte raccoglievano oggetti senza ordine.
Nonostante le specifiche disposizioni del testamento di Isabella, le raccolte andarono incontro ad una triste sorte. Il decaduto duca Vincenzo II Gonzaga fu costretto a vendere in blocco la raccolta al re Carlo I d’Inghilterra (‘600).
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