Gli autoritratti di Van Gogh: interiorità e sguardo

di Valentina Grispo 

L’autoritratto si afferma come genere pittorico nel corso del Quattrocento, quando la figura dell’artista assume progressivamente una sua dignità accanto a quella di pensatori e letterati. I primi autoritratti si perdono, di solito, tra un folla di altri personaggi, quasi come una firma nascosta all’interno del quadro ma, nel corso dei secoli, l’artista tende ad assumere sempre più consapevolezza del suo ruolo e a sganciare la sua rappresentazione dalle sue opere e isolarla, dandole centralità e rilievo. Gli autoritratti di Van Gogh rappresentano a pieno questa nuova consapevolezza del modo in cui l’artista concepisce il suo ruolo: un personaggio marginale rispetto alla società, non integrato in essa, ma proprio per questo capace di vedere più lontano. Dipinge tanto se stesso perchè considera la sua persona centrale rispetto alla propria pittura, tanto da dedicare un autoritratto ad ogni passo della sua evoluzione artistica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Per Van Gogh gli autoritratti diventano un’occasione per sperimentare la prospettiva e la rappresentazione del proprio riflesso allo specchio, infatti, ciò che appare come la parte destra del suo volto è, in realtà, il lato sinistro come si presenta guardandosi allo specchio. Questi quadri non gli servirono soltanto come esercizio pittorico ma, al contrario, cercò di imprimere nella tela tutto il proprio malessere, cogliendo ogni volta diversi lati di sé e della propria personalità. Quindi, il celebrare la propria immagine e il proprio corpo non è più un modo per elevare la propria figura, ma è un esercizio terapeutico ed è proprio questa la migliore spiegazione per comprendere il perché di una serie così fitta di autorappresentazioni.

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L’Autoritratto con cappello di feltro, realizzato nell’estate 1887, è uno dei venti autoritratti che Van Gogh dipinse nel suo breve soggiorno parigino, avvenuto tra il 1886 e il 1887. Sembra che proprio durante questo periodo l’artista abbia affrontato questo tema per la prima volta, data la mancanza di autoritratti precedenti. In questo dipinto Van Gogh si ritrae con gli abiti  di un tipico parigino: cappello, giacca e cravatta e con uno sguardo severo e attento che sembra essere proiettato su qualcosa che si trova davanti a sé. Dipinse questo quadro appena dopo l’incontro con gli impressionisti, che gli permise di avvicinarsi ad alcune nuove tecniche, come il divisionismo di Seurat che in questa opera riprende con alcune riformulazioni. A questo periodo risale inoltre, lo schiarimento della tavolozza e, quindi, il superamento del “periodo olandese”, caratterizzato da una gamma di colori scuri e terrosi, e l’apertura di una nuova fase in cui  il colore comincia ad emergere fino ad affermarsi come protagonista dell’opera.

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I caratteristici colpi di pennello sono molto veloci e sicuri e determinano accostamenti decisi del colore. Le pennellate di Van Gogh sembrano dotate di vita propria, assumono direzione diverse dando un effetto dinamico e di consistenza ruvida. La fissità dello sguardo e l’apparente calma, comunicata dallo sgurdo e dall’espressionde del viso, contrastano con l’ agitazione e il movimento delle pennellate.

La voglia di sperimentare su di sé si può ulteriormente evincere dall’ Autoritratto dedicato a Paul Gaugin, realizzato nel 1888 ad Arles, durante la convivenza con il suo amico artista. In questo dipinto il suo volto è rappresentato con tratti somatici orientali, l’assenza di capelli rimanda all’essenzialità monacale e lo sfondo verde acceso si ricollega volutamente alle stampe giapponesi a cui Van Gogh si ispirava.

Gli autoritatti in cui si scorge il bisogno ancora più profondo di introspezione sono quelli dipinti a Saint-Rémy, durante il suo periodo di reclusione, quando l’artista sceglie di rappresentare se stesso in mancanza di altri modelli. In questi dipinti Van Gogh pone al centro il suo sguardo intento a cercare quello dell’osservatore, sono gli occhi che rispecchiano l’anima di un uomo al quale è stata apposta l’etichetta di folle. Nell’Autoritratto del 1889 si percepisce chiaramente lo sforzo di Van Gogh di apparire controllato e calmo. Il colore blu tenue che attraversa l’intero dipinto sottolinea questa calma, fredda ma percorsa da perturbazioni rese attraverso le pennellate. C’è una continuità tra la figura e lo sfondo in cui sembra immersa. L’andamento turbinoso della pennellata vuole forse comunicare la perdita di orientamento successiva a numerose crisi nervose.

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“Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali”. Con queste parole Van Gogh spiega la sua ossessione per le figure umane e la sua incessante ricerca delle innumerevoli sfaccettature dell’umanità non solo negli altri ma soprattutto in se stesso.

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Bibliografia:

Ingo F. Walther, Rainer Metzger, Van Gogh – Tutti i dipinti, Taschen

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