Le opere di Caravaggio alla Galleria Borghese. Il perdono attraverso l’arte

di Valentina Grispo

Immerso nel verde di Villa Borghese, Il Museo Galleria Borghese conserva ed espone una collezione di opere d’arte dal XV al XIX secolo, che include sculture, bassorilievi, mosaici e dipinti. Il nucleo principale della raccolta risale al collezionismo del cardinale Scipione, nipote di Papa Paolo V, che riuscì, talvolta con spregiudicatezza, ad acquisire dipinti dei più grandi artisti quali Caravaggio, Raffaello, Tiziano, Correggio, Antonello da Messina, Giovanni Bellini e le più famose sculture di Gian Lorenzo Bernini e del Canova.

La storia di questa collezione inizia con l’ascesa al soglio pontificio di Paolo V Borghese, che permise a Scipione Caffarelli Borghese, con la nomina di cardinal nepote, di intraprendere un’intensissima committenza architettonica e, contemporaneamente, un’opera sistematica di acquisizione di opere d’arte, che avrebbero reso la sua collezione una delle più grandi dell’epoca. La sua raccolta si arricchì principalmente grazie all’acquisizione di collezioni altrui, acquistate o confiscate. Infatti, 100 delle più importanti opere della collezione vennero donate nel 1607 da Paolo V, dopo essere state confiscate a Giuseppe Cesari, detto Cavaliere d’Arpino, pittore romano di grande fama e di tradizione manierista alla cui bottega si affiliò il giovane Caravaggio durante la sua permanenza a Roma. Cesari, dopo essere stato in carcere per possesso illegale di archibugi, per riacquistare la libertà fu costretto a donare la propria collezione alla Camera Apostolica, così che Paolo V la potè regalare al nipote Scipione Borghese, presumibile autore della pianificata sottrazione, che così entrò in possesso di alcune delle più famose opere giovanili di Caravaggio.

Queste opere oggi sono le protagoniste dell’ultima sala del piano terra, detta sala del Sileno, in ricordo del gruppo scultoreo con “Sileno e Bacco bambino”, poi trasferito al Louvre e sostituito con il “Satiro danzante” di Thorvaldsen. Il tema è richiamato anche dalla decorazione della volta e delle pareti.
In questa sala sono presenti sei dei dodici dipinti di Caravaggio posseduti in origine dal cardinale. I più antichi sono il “Giovane con canestra di frutta” e “Autoritratto in veste di Bacco”, provenienti dal sequestro al Cavalier d’Arpino, gli altri quattro, “San Girolamo”, “La Madonna dei Palafrenieri”, “San Giovanni Battista” e “David con la testa di Golia”, documentano, invece, la fase più matura dell’artista.
Entrando nella sala, sulla destra, è esposto l’ “Autoritratto in veste di Bacco”, detto anche “Bacchino malato”.

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Questo dipinto sintetizza le caratteristiche tipiche della fase giovanile di Caravaggio, dove i soggetti della pittura di genere vengono ricontestualizzati nel formato monumentale ispirato alla pittura sacra e di storia, con una spiccata attenzione per il dettaglio e, in particolare, per la natura morta.
In questa rappresentazione allegorica il giovane Bacco, dio del vino e dell’ebbrezza, si rivolge allo spettatore assumendo una posa di tre quarti e tiene fra le mani un grappolo d’uva bianca, in contrasto cromatico con il suo incarnato spento. Era abitudine ormai accertata di Caravaggio ispirarsi alle sue vicende biografiche per la realizzazione dei suoi dipinti, in questo caso, infatti, la critica ha individuato nel soggetto un autoritratto dell’artista, che potrebbe risalire al periodo del ricovero presso l’Ospedale della Consolazione di Roma per circostanze non conosciute. Da qui il titolo dell’opera “Bacchino malato”. Da questa opera si evince, inoltre, la ricerca della rappresentazione di una realtà non idealizzata, che riproduce gli effetti cromatici di luci e ombre, estremizzati poi nella fase matura della sua pittura.
Allo stesso periodo risale l’opera “Giovane con canestra di frutta”, acquisita, anche questa , tramite la confisca al Cavalier d’Arpino. La tela, infatti, risale molto probabilmente al periodo in cui Caravaggio lavorava presso la bottega di Cesari come “generista”.

Il giovane è raffigurato mentre regge un canestro colmo di frutti autunnali, che si afferma come vero protagonista dell’opera. Grappoli d’uva, foglie e gli altri frutti vengono rappresentati in modo realistico senza tralasciare le loro imperfezioni. Questa tela dimostra l’interesse nascente dell’artista per il dato naturale, privo di interpretazioni estetizzanti ,che caratterizza la fase giovanile della sua carriera. Proseguendo, sulla stessa parete, si impone “La Madonna dei Palafrenieri”, altrimenti detta “La Madonna della serpe”. Questo dipinto fu commissionato a Caravaggio dalla Confraternita di Sant’ Anna dei Palafrenieri per il proprio altare nella nuova basilica di San Pietro.

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L’opera, però, rimase nella sua sede destinata solo pochi giorni, per poi essere trasferita nella chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri ed essere acquistata, infine, dal cardinale Borghese. Sono ancora incerte le cause della sua rimozione dall’altare, forse per motivi di decoro. Caravaggio dipinge la Vergine, simbolo della Chiesa, mentre schiaccia il serpente, allegoria del Peccato, aiutata dal piccolo Gesù. Accanto a loro, ma in posizione più distaccata, compare Sant’Anna, personificazione della Grazia. Proprio questo dettaglio potrebbe avere compromesso l’intera opera, dal momento che l’apparente separazione della Grazia dall’opera di salvezza dell’umanità non poteva essere tollerata nell’ambiente della chiesa in pieno clima di Controriforma. Scipione Borghese riuscì, infatti, a ottenere il dipinto per una cifra irrisoria. Le altre tre opere di Caravaggio esposte nella sala sono state dipinte molto probabilmente dall’artista proprio per il cardinale Borghese. Offrendo in dono le sue opere all’appassionato collezionista, infatti, sperava di ottenere la grazia dalla condanna a morte per omicidio inflitta da Paolo V, grazie all’intercessione dell’amato nipote. Tra queste opere “San Giovanni Battista”, rappresentato da adolescente, segnato dal digiuno e dalla rinuncia in una cornice naturalistica cupa, e “San Girolamo”. San Girolamo, eremita e autore della traduzione della Bibbia dal greco al latino, è un soggetto molto frequente dell’iconografia pittorica nel periodo della Controriforma e viene rappresentato come eremita penitente. Nell’opera della Galleria Borghese il santo, anziché essere raffigurato secondo l’iconografia usuale, viene presentato come uomo di studi, profondamente concentrato sul libro che tiene fra le dita sporche di inchiostro, intento nella scrittura. Nella composizione del dipinto spicca il contrasto cromatico tra toni caldi, come l’incarnato del santo e il manto purpureo, e toni freddi, come il libro aperto, il teschio e il drappo bianco. L’opera più autobiografica e profondamente emblematica dell’ultimo Caravaggio esposta nella Galleria è “David con la testa di Golia”. Il dipinto fu realizzato durante il periodo dell’esilio per l’accusa di omicidio con l’intento di inviarla al cardinale per ottenere il perdono e il ritorno in patria. David, mentre regge e osserva il capo mozzato di Golia non ha uno sguardo fiero o di disprezzo, ma dimostra pietà verso quel peccatore, nel cui viso troviamo l’autoritratto di Caravaggio. L’iscrizione che compare sulla spada “H.AS O S” è stata interpretata dalla critica come l’anagramma del il motto agostiniano Humilitas occidit superbiam. Alla fine, forse anche grazie a queste generose donazioni, la grazia gli fu accordata ma Caravaggio non arrivò mai a Roma, morì durante il viaggio sulla spiaggia di Porto Ercole per circostanze misteriose.
Queste opere della collezione della Galleria Borghese ci offrono uno spaccato della controversa arte di Caravaggio, attraversando rapidamente le fasi principali della sua vita da pittore. L’inedita attenzione per la luce resa senza alcun filtro compositivo, la profondità degli sguardi e la morbidezza dei movimenti fanno di questi quadri i protagonisti di questo splendido museo, anche grazie alla loro capacità di attirare lo sguardo del visitatore, anche del più distratto, che si perde in quello sfondo scuro per poi ritrovarsi nella luce delle figure dipinte.

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