Jan van Eyck e il “Ritratto dei coniugi Arnolfini”: atto di esorcismo o promessa d’amore?

di Laura Corchia

Una giovane coppia si tiene per mano, ai piedi un cagnolino. La stanza che fa da scenario al Ritratto dei Coniugi Arnolfini testimonia la ricchezza della borghesia mercantile.

Jan Van Eyck dipinge l’opera nel 1434 e si firma sulla parete di fondo, al di sopra dello specchio che riflette la sua stessa immagine (“Johannes de Eyck fuit hic”). I due protagonisti sono Giovanni Arnolfini, ricco mercante lucchese, e la moglie Giovanna Cenami. I due si erano trasferiti a Bruges nel 1420. Il documento che attesta il matrimonio è stato rinvenuto nel 1990 da Jacques Paviot, un ricercatore francese. Ebbene, l’atto indica che i due si sposarono nel 1447, tredici anni dopo che il quadro fu dipinto. Già qualcosa non torna.

Full title: The Arnolfini Portrait Artist: Jan van Eyck Date made: 1434 Source: http://www.nationalgalleryimages.co.uk/ Contact: picture.library@nationalgallery.co.uk Copyright © The National Gallery, London
Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434


Proviamo ad entrare nei dettagli della rappresentazione. I due protagonisti, riccamente abbigliati, occupano il centro di una stanza da letto. Giovanni compie un gesto che può essere variamente interpretato: alza la mano destra verso lo spettatore in segno di benedizione, di saluto o di giuramento. Con la mano sinistra tiene quella della moglie che, a sua volta, posa l’altra mano sul ventre, forse per alludere ad una gravidanza presente o prossima.

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La firma del pittore
La firma del pittore

Nella stanza sono disseminati molti oggetti, tutti descritti con precisione lenticolare: lo specchio, che dilata lo spazio dipinto, facendoci vedere ciò che è al di qua di esso, gli zoccoli, il cane, le arance sul davanzale della finestra, il lampadario con una sola candela illuminata, le ciabattine rosse sotto al sedile in fondo. Tutti questi elementi rivestono complessi e affascinanti significati simbolici, in un articolato intreccio di tesi e antitesi.

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L’ipotesi più accreditata è che si tratti del giuramento tra gli sposi prima di presentarsi al sacerdote. Un fidanzamento, dunque. E se invece l’opera rappresentasse una forma di esorcismo? I documenti ci informano che gli Arnolfini non ebbero figli. Visto sotto questo aspetto, il quadro potrebbe essere un atto rituale, una disperata cerimonia per invocare la tanto desiderata fertilità.

Le indagini diagnostiche (radiografie e infrarossi) condotte dagli esperti della National Gallery di Londra hanno dimostrato che la maggior parte dei dettagli è stata eseguita dopo aver rappresentato la scena principale e che, oltre a nascondere dei precisi significati, sono una vera e propria ostentazione di ricchezza. perché provenienti dai più svariati e lontani paesi dell’Europa e del mondo: la pelliccia dalla Russia, il tappeto dall’Anatolia, le arance dal sud. Questi frutti avevano lo stesso significato della mela e quindi erano allusivi al peccato originale. Il vetro simboleggia la purezza mentre il rosario, abituale regalo del fidanzato alla futura moglie, suggerisce virtù e devozione. Lo specchio convesso, oggetto molto popolare all’epoca, è un piccolo capolavoro: misura 5,5 cm e nella cornice reca scene della Passione di Gesù. Questi oggetti erano appesi sulle pareti per allontanare la sfortuna e, in questo caso, le scene allusive alla vita di Cristo sarebbero un’esortazione a sopportare le tribolazioni della vita. L’unica candela accesa simboleggia la fiamma dell’amore ed essa era accesa dalle famiglie fiamminghe il primo giorno delle nozze.

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La verga appesa a destra è simbolo di verginità, per il gioco di parole Virgo-virga, ma nella tradizione popolare era anche simbolo di fertilità (“verga di vita”), con la quale lo sposo batteva simbolicamente la sposa perché fosse portatrice di figli. Infine il cane, simbolo di fedeltà.

 

 

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