Il preraffaellita J.W. Waterhouse (1849- 1917) , nato a Roma ma trasferitosi in tenera età a Londra, nelle sue opere mostra una spiccata propensione artistica verso l’epica greco-latina ed il ciclo Bretone.
Nella sua produzione molti sono i soggetti storico mitologici che vengono raffigurati: La maga Circe, il giovane Ila e le ninfe, Psiche, Pandora ma un posto di rilievo lo hanno le sirene.
Una nota curiosa appare nell’ evocativa opera “Ulisse e le sirene”, che Waterhouse dipinge nel 1891, dove le sirene sono presentate come uccelli e non come ibridi di donna e di pesce. Il dipinto, che si ispira al XII libro dell’Odissea di Omero, è sicuramente uno dei più famosi dell’artista ed è oggi ubicato nella Royal Academy di Londra.
Per comprendere la scelta artistica di Waterhouse occorre partire dalla mitologia classica.
Le sirene erano, secondo il mito, figlie del dio fiume Achelaoo e di una delle muse ( Mnemosine, Tersicore o Calliope) e vivevano sull’Isola di Antenoessa , non distante dallo stretto di Scilla e Cariddi (dove giunge Ulisse nel libro XII dell’Odissea).
Cantavano soavemente ai naviganti profezie relative al regno dell’Ade e la loro isola era bianca delle ossa spolpate dei marinai uccisi.
La loro figura era legata a Persefone poiché erano sue antiche compagne di giochi e quando Ade rapì la regina esse furono trasformate in uccelli, per aver assistito inerti a questo ratto.
Nel quadro viene raffigurata l’imbarcazione di Ulisse sulla quale incombono sette crudeli sirene dal bellissimo volto di donna e corpo da uccello.
Il loro numero è in contrasto con la tradizione che ne considera tre: Leucosia (“bianca”), Ligea (“acuta”) e Partenope (“virginale”) . Nel poema omerico invece sono due, ciò si può ricavare dalla presenza della forma grammaticale greca del duale.
E’ presente anche un’altra contraddizione nell’opera di Waterhouse.
Le Sirene simboleggiavano la bonaccia che rendeva ingovernabile la nave ma nello scenario che dipinge il preraffaellita il mare è leggermente agitato e la vela è sospinta dal vento.
Omero scrive: “ed ecco a un tratto il vento cessò; e bonaccia fu senza fiati: addormentò l’onde un dio.” (libro XII, vv.236-238)
Odisseo è legato saldamente all’albero maestro della nave con l’ordine tassativo di non essere slegato.
“ma voi con legami strettissimi dovete legarmi, perché io resti fermo, in piedi sulla scarpa dell’albero: a questo le corde m’attacchino. E se vi pregassi, se v’ordinassi di sciogliermi, voi con nodi più numerosi stringetemi!”( Libro XII).
I suoi tredici compagni invece hanno le orecchie tappate da cera, alcuni continuano a remare mentre uno di loro è blandito da una sirena poggiata sulla nave.
Il britannico Waterhouse si dimostra conoscitore di tradizioni artistiche che si rifanno anche all’archeologia classica quando pone la sua attenzione sulla raffigurazione delle sirene in rapporto all’Odissea.
A questo proposito si può prendere in considerazione uno stámnos (στάμνος) attico a figure rosse rinvenuto a Vulci -Etruria- e oggi conservato presso il British Museum di Londra, risalente al V secolo a.C.
L’artista rimarca , a seconda di ciò che vuole rappresentare, sia l’immaginario di matrice classica che voleva queste donne con un corpo alato sia la trasformazione che queste ebbero nell’iconografia del dopo Cristo.
La prima vera descrizione delle Sirene con coda di pesce si trova nel “Liber Monstrorum de diversis generibus” scritto nell’Inghilterra anglosassone nell’alto Medioevo (VIII secolo circa): “Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo fino all’ombelico hanno corpo di vergine e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi.”
Ecco spiegato anche l’apparente contrasto che si ha quando , nel 1901, l’artista dipinge con tratti differenti e prettamente preraffaelliti “Una Sirena” .
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