Il nudo nel Seicento tra sacro e profano

di Laura Corchia

«Chiunque ami seguire le gioie della fuggitiva bellezza / riempie le proprie mani di fronde o, per dir meglio, gusta bacche amare». Con queste parole, scritte, però, in latino, il cardinale Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII (1623-1644), attribuisce un significato morale al mito di Apollo e Dafne eternato nel marmo dal genio di Gianlorenzo Bernini. La storia è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi. Innamorato perdutamente di Dafne, Apollo la insegue sperando di conquistare il suo amore. Il dispettoso Cupido, però, aveva colpito la ninfa con uno strale di piombo, quello dell’amore non corrisposto. Gea, udite le preghiere delle fanciulla, la trasforma in un cespuglio di alloro non appena fu raggiunta dal dio del Sole. Da allora, Apollo, in ricordo di quest’amore sfortunato, userà cingersi il capo con un serto d’alloro.

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Gianlorenzo Bernini, Apollo e Dafne


Quest’opera, capolavoro assoluto del Seicento, inaugura una nuova poetica in cui il nudo svolgeva un ruolo centrale, tanto nell’arte a soggetto profano quanto in quella a soggetto sacro.

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Il Seicento completa e sviluppa le premesse del Rinascimento, quando il corpo nudo era già entrato a pieno titolo nel vocabolario espressivo dell’epoca. Basti ricordare i nudi possenti dipinti da Michelangelo alla Sistina o il soggetto profano delle tre Grazie. Gli Ignudi della Sistina furono studiati a fondo da artisti come Rubens, giunto a Roma con l’idea di tuffarsi fra le bellezze dell’antico. Il pittore estrapola una cifra stilistica propria che sa trasformare miracolosamente in carne, viva e pulsante, i modelli marmorei dei suoi studi mescolando sacro e profano che divengono due aspetti della medesima potenza espressiva. Il nudo di Rubens è trinfante, figlio dell’arte greca e romana, ma morbido di carne e turgido di muscoli, percorso dal sangue dei colori ad olio che quasi gli conferiscono il respiro della vita. In un’opera come Lo sbarco di Maria de’ Medici a Marsiglia, il pittore si compiace di rendere l’effetto della pelle bagnata dell’acqua, ma è al tempo stesso consapevole della deperibilità della carne.

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Rubens, Le tre Grazie
Rubens, Le tre Grazie

E proprio questo concetto è ampiamente espresso da Rembrandt, che ha dedicato due capolavori al tema della Lezione di anatomia, dove protagonista è il cadavere. Il Seicento è infatti attraversato dalla vena sotterranea del memento mori che costituiva il rovescio della medaglia di un secolo permeato di sensualità. Il tema della morte e dunque del corpo di Cristo straziato dai carnefici è largamente presente nell’arte barocca, con risultati che spesso sfiorano un forte senso del dramma. Si nota lo sforzo dei pittori di rendere la rigidezza del corpo, il colorito livido che la morte ha impresso alla pelle, il sangue ormai rappreso.

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Il nudo nel Seicento è, dunque, vita e morte, amore e sofferenza, profano e sacro. Questi aspetti sono uniti insieme da un unico filo conduttore: la ricerca della carnalità intesa come pura materia.

 

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