Caravaggio: la morte in faccia

Di Laura Corchia

Analizzando il catalogo delle opere di Caravaggio, si può notare che moltissime di esse rappresentano scene di morte: i toni cupi fanno da sfondo a personaggi che esalano l’ultimo respiro o sono distesi su di un catafalco. In altri dipinti, la morte è proprio dietro l’angolo, si respira nell’aria, è quasi tangibile. Sono scene di martirio, di spade che affondano nelle carni, di aguzzini che sferrano il colpo mortale, di sangue versato, di boia dai volti stravolti, di angeli che dal cielo porgono la palma, di occhi spalancati e congelati da una morte improvvisa.

La prima opera è il Sacrificio di Isacco, dipinta per il cardinale Maffeo Barberini e descritta da Bellori. In un paesaggio malinconico e colto negli ultimi bagliori del tramonto, l’attenzione si rivolge tutta verso Isacco, piegato e forzato dal padre che l’avrebbe già colpito se l’Angelo non gli avesse fermato la mano. Il giovane urla disperato, preso alla sprovvista. Come sempre Caravaggio, coglie il momento più drammatico della storia: un attimo dopo sarebbe stato troppo tardi. E questa paura, questa tensione, è avvertita anche dall’osservatore, che vorrebbe quasi allentare d’istinto la presa troppo salda e violenta di Abramo.

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Il dramma si è invece irrimediabilmente svolto nello Scudo con la testa di Medusa. Perseo c’è, ma non si vede. Le ha staccato appena un momento fa la testa. Medusa è ancora scossa dall’ultimo spasimo di vita, mentre il sangue sgorga copioso dalla ferita (da cui nascerà Pegaso), i muscoli sono contratti, la bocca è spalancata in un urlo di dolore e di incredulità agghiacciante e sordo. Gli occhi sono gli stessi, vivacissimi e pericolosi come quando era in vita, ma sembrano schizzare fuori dalle orbite, colti da quell’ultimo inquietante lampo di luce. La scena, violenta e dirompente, sembra calata in in “tempo sospeso”, quei secondi fulminei di passaggio tra la vita e la morte. Caravaggio fu forse suggestionato dall’ Anima dannata disegnata da Michelangelo e dalla Battaglia di Anghiari di Leonardo, dove si vede un vecchio che urla.

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MedusaCaravaggio

E ancora una scena di sangue e di sospensione si ritrova nel dipinto con Giuditta e Oloferne. Qui i personaggi ci sono tutti, vittime e carnefici. Per Giuditta deve aver posato Fillide Melandroni, la cortigiana che allo scadere del Cinquecento compare spesso nei dipinti di Caravaggio. Nei volti dei personaggi sono registrati quei “moti dell’animo” che tanto avevano interessato Leonardo. Ognuno esprime qualcosa: la vecchia è concentrata su ciò che sta accadendo. Il suo sguardo, scavato dalle rughe, attende impaziente la morte. Giuditta, che ha quasi ultimato il suo lavoro, ha un’espressione spaventata, mentre il suo corpo si inarca per lo sforzo della decapitazione. Oloferne ha la bocca spalancata e urla di dolore e di sorpresa, mentre dal suo scollo sgorga un energico fiotto di sangue.

Caravaggio_-_Giuditta_che_taglia_la_testa_a_Oloferne_(1598-1599)

Caravaggio raffigura anche diverse scene di martirio, come il Martirio di San Matteo e il Martirio di San Pietro, o la più tarda Decollazione del Battista. Sono opere popolate da molte figure, aguzzini e vittime, unite insieme da urla disperate.

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La produzione caravaggesca comprende un tema molto ricorrente: David e GoliaIl David è un’adolescente che, per un intervento soprannaturale, riesce a sconfiggere il maligno. In una di queste opere, forse la più nota, è stato riconosciuto l’autoritratto di Caravaggio. Da dietro uno scuro tendaggio emerge per tre quarti David, ancora con la spada in mano, fieramente intento a osservare la testa di Golia che, espone, ancora sanguinante, dopo la decapitazione. Golia ha un volto pallido, la fronte corrugata, la bocca aperta nell’ultimo respiro e uno sguardo potentemente sofferente. Lo studioso Maurizio Marini ha interpretato le lettere ancora leggibili sullo sguancio della spada come un motto: “H(UMILIT)AS O(CCIDIT) S(UPERBIAM). Un altro dipinto avente per oggetto lo stesso tema fu realizzato nel 1607, su una tavola di legno sopra a una vecchia allegoria manierista. Per David posò un suo garzone Cecco Boneri. Il giovane eroe regge la testa afferrandola per i capelli e la espone come un trofeo di guerra. La bocca di Golia è aperta a metà a mostrare il brillio della dentatura. Gli occhi sono semichiusi, separati da una profonda ruga centrale. La morte qui si è già impossessata del gigante, il cui volto è congelato dalla violenza con cui è avvenuta.

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Il trapasso è avvenuto già da tempo in opere come la Morte della Vergine, nota per lo scandalo suscitato e per il rifiuto dei committenti. Caravaggio fu infatti accusato di aver preso a modello una meretrice, “morta gonfia e con le gambe scoperte”. La Vergine, priva di qualsiasi attributo sacro, è attorniata dagli apostoli piangenti, sotto un drappo rosso che conferisce teatralità alla scena. La luce si concentra sul volto livido della Madonna e sulla schiena di Maddalena, china su se stessa, con la fronte appoggiata alle mani.

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Dramma, violenza e dolore si condensano nelle opere di Caravaggio e sembrano essere un triste preludio alla sorte che davvero sarebbe toccata a lui in quell’afoso 18 luglio 1610 quando, improvvisa come nelle sue opere, la morte bussò alla sua porta.

 

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