Virtuosi, dilettanti e conoscitori: i collezionisti del passato

Di Laura Corchia

All’epoca del Tasso, che scrive un sonetto dedicato a Paolo Olivo, il fenomeno del collezionismo aveva già acquisito una ben individuata autonomia.ù

Alla fine del Cinquecento, il termine antiquario era sinonimo di collezionista. Conoscitore e conoscente designavano invece la figura dell’artista.

Nel Seicento figure come Giulio Mancini e Vincenzo Giustiniani incarnano la figura del conoscitore dilettante, la cui competenza deriva dalla grande familiarità e dimestichezza con le opere e con gli artsiti.

Il Mancini, nelle sue Considerazioni sulla pittura rivendica l’autonomia della critica d’arte dalla pratica e dalla tecnica.

Vincenzo Giustiniani, nel discorso sulla scultura inviato all’amico Teodoro, offre valutazioni concrete sulla tecnica della scultura, nonché sul restauro e sul mercato delle statue antiche.

Tra Seicento e Settecento l’artista, ormai completamente slegato dalla sudditanza delle arti meccaniche, conquista una ben riconosciuta considerazione sociale e una maggiore libertà dai condizionamenti di mecenati e committenti.

Alcuni di essi come Piero da Cartona, Poussin e Luca Giordano migliorano le proprie competenze a contatto con grandi collezionisti, come ci illustra il De Dominici.

Le mostre annuali o periodiche di pittura svolsero poi un ruolo fondamentale: esse consentivano agli artisti di raggiungere un pubblico più vasto, di farsi conoscere, di apprendere maniere, tendenze e stili diversi. Emblematico in tal senso è il caso della fortuna dei Bamboccianti, giudicati negativamente dalla storiografia contemporanea e dagli artisti stessi come Guido Reni e Salvador Rosa.

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Ad allentare ulteriormente il rapporto tra artista e committente un ruolo determinante viene svolto, oltre alle mostre, dai conoscitori che condizionano le scelte dell’aristocrazia e della borghesia.

Honoré Daumier – Due amatori ad una mostra
Honoré Daumier – Due amatori ad una mostra

Assai forte è il potere dei letterati e degli antiquari sulla corte papale  sui nobili. Il Bellori, ad esempio, viene nominato da Clemente XI “commissario delle antichità papali” e successivamente diviene curatore delle raccolte artistiche della regina Cristina di Svezia.

L’anello di collegamento tra artisti e grandi famiglie era rappresentato dalla classe borghese: scienziati, bibliotecari, letterati, per influsso di quali si formano collezioni quasi specialistiche e musei didattici divisi per generi e importanti raccolte di grafica.

In pittura si crea una sorta di fronte di dissenso nei confronti dello stile barocco a cui prendono parte alcuni personaggi romani.

Nella Pinachoteca di Gian Vittorio Rossi spiccano i ritratti di Giulio Mancini e di Lelio Giudiccioni, proprietario di un’insigne raccolta di pittura.

Il fiorentino Francesco Marucelli, come ricorda il Baldinucci, collezionava invece pitture da cavalletto fiamminghe e alcune opere dei Bamboccianti.

A limitare il ruolo e l’influenza dei committenti concorrevano anche i mercanti, sorta di talent scout dei giovani artisti. A Venezia essi educavano i borghesi alla necessità di possedere opere d’arte per accrescere il proprio prestigio e fungevano da intermediari tra il collezionismo delle grandi famiglie  e le richieste dell’aristocrazia straniera.

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Il mercante ebreo Daniele Nijs, al quale è dedicata la Pittura trionfante del Gigli, importa a Venezia la galleria dei Gonzaga che vende in blocco a Carlo I d’Inghilterra.

A Napoli i mercanti svolgono anche il ruolo di far conoscere nuove correnti artistiche. La scuola locale verrà influenzata dai fiamminghi e si aprirà infatti al gusto del paesaggio e del realismo.

Le raccolte dei disegni finalizzate all’apprendimento e alla conoscenza dei diversi stili e maniere artistiche possono essere considerate  un’alternativa al gusto ufficiale. Ne è un esempio la Galleria portatile di Padre Sebastiano Resta.

L’incisore veneziano Anton Maria Zanetti inizia con l’erudito Algarotti e i fiorentini Gaburri e Gori  inizia una sistematica raccolta di disegni e stampe nota da alcune lettere.

Anche i reperti antichi costituiscono oggetto di raccolta.  L’erudito veneziano Bernardo Trevisano colleziona epigrafi ed iscrizioni che sistema per luoghi d’origine e di provenienza e il cardinale Alessandro Albani possedeva una villa-museo sulla via Salaria ricca di reperti antichi, come documenta Casanova nella “Storia della mia vita” (1798).

Le raccolte non furono solo appannaggio di uomini colti e di raffinati aristocratici, ma anche dei nuovi ceti borghesi e commerciali, come il Brontino, personaggio di umili origini di cui ci parla Giacomo Carrara da Bergamo in una lettera.

Dilettanti e conoscitori non solo svolsero un ruolo fondamentale nell’apprezzamento di nuove correnti artistiche, ma volsero la loro attenzione anche ai procedimenti tecnici e operativi e ciò condusse all’individuazione delle materie distintive delle singole scuole pittoriche regionali.

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Il trattato del Mancini, Considerazioni sulla pittura, proponeva consigli pratici e operativi per muoversi nell’infido mondo dei commercianti. Nella seconda parte, invece, tentava una revisione delle vite vasariane limitata esclusivamente alle notizie di pittura. L’autore, inoltre, affermava che solo il dilettante è in grado di distinguere gli originali dalle copie e la qualità, lo stile, l’epoca di un’opera, mentre gli artisti sono i peggiori critici d’arte perché troppo coinvolti nel giudicare le opere dei rivali.

Al contrario, il Baldinucci, in una lettera indirizzata al responsabile dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, riteneva il pittore più idoneo a giudicare la qualità e le maniere dell’arte.

Luigi Crespi afferma in una lettera che  il riconoscimento dello stile e la stima di un quadro spettano ai pittori e agli accademici.

Il Lanzi sostiene invece che per divenire un vero conoscitore il dilettante dovrà familiarizzarsi con le diverse maniere dei pittori studiandone anche in via preliminare gli abbozzi e i disegni, in quanto alcuni caratteri formali e stilistici rimangono costanti.

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