Pisanello, ultimo poeta di corte ai bagliori del Rinascimento

Di Laura Corchia

Antonio di Puccio Pisano, meglio noto come “Pisanello”, nacque a Pisa nel 1390. Alla morte del padre si trasferisce a Verona, città nella quale compie la sua formazione artistica. Qui assimila rapidamente il vigoroso realismo fantastico fatto di influssi padovani, veneti e persino toscani.

Del soggiorno veronese risente pienamente una delle prime opere documentate, la Madonna della quaglia, realizzata intorno al 1420. Vi si leggono i chiari influssi di Stefano da Verona, di cui riprende la linea fluida, la minuzia dei particolari e i preziosi fondi oro arabescati. Ma si può anche già scorgere quella atmosfera ovattata e fiabesca tipica della poetica pisanelliana.

A Venezia, dove Pisanello interviene per terminare gli affreschi nella Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale iniziati da Gentile da Fabriano, inizia la sua folgorante carriera di pittore di corte. Lavora infatti per i Visconti, per i Gonzaga e viene anche a contatto con il papa Martino V, di passaggio a Mantova.

Tra il 1422 e il 1426, Pisanello lavora a Verona, dove dipinge l’Annunciazione per il monumento funebre scolpito da Nanni di Bartolo per Nicolò Brenzoni. L’opera risulta impoverita dal tempo, ma mantiene ancora il suo prezioso carattere. Persino Vasari usò parole di elogio: “la Vergine Annunziata dall’Angelo le quali due figure sono tocche d’oro secondo l’uso di quei tempi, sono bellissime, sì come sono ancora certi casamenti ben tirati e alcuni piccoli animali et uccelli sparsi per l’opera, tanto proprii e vivi, quanto è possibile immaginarsi”.

Ma Pisanello non si dedica soltanto alle pitture monumentali. Egli è anche un instancabile disegnatore, pronto a cogliere ogni aspetto della realtà. Nel suo repertorio compaiono animali, costumi, disegni dell’antico, piante, figure umane. Ogni opera è indagata con minuzia e nelle espressioni si coglie spesso un rapido accenno psicologico che indica una particolare attenzione allo studio dal vero. Dall’attività di disegnatore si coglie anche l’interesse per la ritrattistica. Agli anni 1435-1440 appartiene il ritratto di una principessa estense identificata con Ginevra d’Este per il ramo di ginepro raffigurato sullo sfondo.

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Dall’arte del ritratto Pisanello trasse, di certo, spunto per quella di medaglista che lo rese famoso: egli inventò infatti la medaglia celebrativa, genere che avrà larghissima fortuna del Rinascimento e che rappresenta la sintesi tra il ritratto idealizzato di gusto cavalleresco e l’interesse per l’antico che proprio in quegli anni si risveglia grazie alla corrente dell’Umanesimo. La prima medaglia a noi nota è quella eseguita per Giovanni Paleologo, in cui compare l’effigie del personaggio entro una scritta in greco. Sul “verso” della medaglia l’imperatore stesso, in tenuta da caccia e a cavallo, sosta con le mani giunte davanti alla croce; dietro di lui un paggio, pure a cavallo, si distanzia da un gruppo di rocce. In alto corre la scritta: “Opus Pisani Pictoris”. 

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Alla morte di Gentile da Fabriano, avvenuta nel 1427, Pisanello viene chiamato a Roma per ultimare gli affreschi lateranensi lasciati incompiuti dal collega. Qui viene a contatto con il gusto per l’archeologia e i suoi disegni sono una chiara testimonianza di questo interesse per l’antico. Il libro romano di schizzi mostra segni vari, probabilmente eseguiti da mani diverse. Spesso i soggetti sono eseguiti mediante la tecnica dell’assemblaggio: diverse figure antiche, riprese da modelli originali, scelte secondo una corrispondenza di ritmo e di simmetria, compongono una immagine finale.

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Tra il 1433 e il 1438, Pisanello dipinge un ciclo di affreschi per la cappella Pellegrini a Sant’Anastasia (Verona) che Vasari descrive con queste parole: “Et per dirlo in una favola non si può senza infinita meraviglia, anzi stupore, contemplare quest’opera, fatta con disegno con grazia, e con giudizio straordinari”. Il tema di San Giorgio che salva la principessa è un tema tipico del mondo cortese. Tutta la narrazione di Pisanello è pervasa da una vena di romanticismo e da un paesaggio surreale. San Giorgio è colto nell’atto di montare a cavallo per sconfiggere il drago, figurazione demoniaca di antica origine cinese. San Giorgio che uccide il drago è simbolo della vittoria delle forze del bene su quelle del male.

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Stilisticamente è cronologicamente vicina agli affreschi di Sant’Anastasia è la piccola tavoletta con la Visione di sant’Eustachio. In essa si respira quel medesimo clima di sospensione e di silenzio, quel senso particolare della pausa prima dell’evento. Ogni elemento naturale è indagato fin nei più piccoli dettagli ed è riflesso della perfezione divina. Così Sant’Eustachio procede il suo cammino, bardato come un cavaliere e contornato da animali di ogni tipo, in una foresta sconosciuta e in una notte carica di presagi. Quell’atmosfera quasi da incantesimo, è interrotta dal subitaneo apparire del cervo che, tra le corna, reca la croce di Cristo, simbolo di fede.

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Il soggiorno alla corte aragonese di Napoli è l’ultima tappa nota dell’itinerario cortese di Pisanello. A partire dal 1449 lo vediamo impegnato in diversi lavori commissionati da Alfonso d’Aragona: progetti di architettura, lavori d’ornato, medaglie. L’attività di Pisanello è documentata fino al 1450. La sua morte è collocabile tra questa data e il 1455 e segna la fine dell’attività dell’ultimo poeta di corte ai bagliori del Rinascimento.

«Pisanello è fra i grandi talenti del Rinascimento; ma non potrebbe dirsi affatto ch’egli ruppe col passato […] Egli non ha la vigorosa inquietudine d’un innovatore; ma una raffinatezza, una preziosità, da ultimo rampollo d’un nobile lignaggio. L’evoluzione artistica dette nell’opera di Pisanello lo specchio ideale d’un prodotto parallelo dell’evoluzione sociale: la cavalleria, ormai al tramonto […] nell’interpretazione dei singoli oggetti del mondo naturale, non restò forse addietro a nessun contemporaneo, di qualsiasi parte del mondo. Dipinse uccelli come soltanto i giapponesi. I suoi bracchi e levrieri, i suoi cervi, non la cedono neppure a quelli dei Van Eyck. Il suo posto, approssimativamente, è fra i tardi miniaturisti medievali franco-fiamminghi; i Limbourg da una parte, e dall’altra i Van Eyck…»

Bernard Berenson, North Italian Painters of the Renaissance, 1897.

 

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