Bacco, Arianna e il Tiziano: tra il mito e la rappresentazione, prosit!

di Mario Gambatesa

Si penserebbe che, godersi l’attimo, pensare prettamente al presente senza lanciare neanche un minimo sguardo a ciò che riserva il futuro, sia una peculiarità delle nuove generazioni, ma non è proprio così: questo pensiero ha svariati secoli, risale addirittura al mito greco di Bacco e Arianna e lo  dimostrano le tele, gli affreschi e le rappresentazioni dei grandi artisti che, nel corso del tempo, dipinsero la storia dei due innamorati. Il mito del dio Bacco, giovane e dalla bellezza femminea, e dell’umana Arianna, dal fascino ingenuo ma ammaliante, tornò in auge soprattutto nel Rinascimento. La storia inizia con Minosse, il re della prospera isola di Creta che per punire la vicina città di Atene, ogni anno sacrificava sette delle sue fanciulle  al Minotauro: un mostro mezzo uomo e mezzo toro, tanto temuto da tutti i cretesi ed anche dal re stesso, da essere imprigionato in un labirinto , costruito dal famoso Dedalo, da cui né il mostro né chi vi entrava, poteva uscirne.

Bacco e Arianna 1520-1523 olio su tela

Questo rito sacrificale si ripete, finché Teseo, figlio del re di Atene, decise di porre fine a questa carneficina, entrando nel labirinto, camuffato in una delle fanciulle sacrificali, ed uccidendo il Minotauro. Il problema da risolvere non era tanto entrare, quanto uscire dal labirinto: a trovare la soluzione ci pensa la figlia del re Minosse,  Arianna, che decide per amore di aiutare Teseo, tradendo il padre: sotto consiglio di Dedalo, consegna al suo amato un rocchetto di filo da dipanare lungo i meandri del labirinto, così da segnare il tragitto. Teseo riesce ad uccidere il Minotauro e fugge con Arianna sull’isola di Nasso, dove però le confessa di aver finto di amarla per avere il suo aiuto nella riuscita dell’impresa. Teseo abbandona la storia per iniziarne altre magnifiche mentre Arianna, abbandonata sull’isola, inizia la conclusione della sua: confidò il suo dolore a delle giovani Ninfe che per distrarla da questo grande malessere che ormai l’aveva avvolta, le raccontarono di una nave appena  approdata con un dio a bordo. La divinità era Dionisio, Bacco per i romani, figlio di Giove e di una mortale, allevato e nutrito con miele dalle Ninfe. Bacco aveva una vita vagabonda e piena di avventure. Quando incontrò Arianna, era appena sfuggito dalle grinfie della Maga Circe, scambiando la fanciulla per un’altra maga. Conquistato dalla bellezza e dal fascino irresistibile di Arianna, il dio se ne innamorò e la sposò donandole una meravigliosa corona d’oro, opera del dio Efesto. Alla sua morte Arianna, verrà trasformata dal suo sposo immortale in una parte della costellazione splendente della Corona Boreale.

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Particolare dell'opera - Bacco e Arianna - del Tiziano

Rievocato il mito, tentando di unire le sue multiformi narrazioni, non si può non scrivere di una sua importantissima rappresentazione realizzata dal Tiziano, pittore rinascimentale, (1480 – 1576 circa) su tre tele che dipinse per il duca di Ferrara Alfonso d’Este.

Una di queste opere per l’appunto il “Bacco e Arianna” , olio su tela databile al 1520-1523 e conservato al National Gallery di Londra, rappresenta la scena del primo incontro tra il dio Bacco e la mortale Arianna, riprendendo le fonti classiche degli autori latini, Catullo ed Ovidio. In un paesaggio idilliaco sulla costa dell’isola di Nasso, nel silenzio della natura, irrompe il corteo del dio trionfante, accompagnato da ninfe, satiri e animali. In una scena ricca di corpi e di colori accesi, Bacco (al centro della scena), scende dal suo carro trainato da ghepardi e vede Arianna (alla sinistra del dipinto) sola e abbandonata da Teseo, la cui nave è ormai all’orizzonte e la si può notare quasi in trasparenza, all’estrema sinistra dell’opera. In alto, a sinistra del dipinto si può notare la sposa del dio, come parte della costellazione della Corona Boreale.

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Particolare dell'opera Bacco e Arianna del Tiziano

Dopo aver letto questo mito e dopo aver compreso gli innumerevoli avvenimenti che si sono venuti a creare tra i vari personaggi, non si può far altro che rievocare il “Chi vuol esser lieto sia” dei  Canti carnascialeschi  di Lorenzo de’ Medici, uomo illustre del Rinascimento, ed esorcizzare  la fugacità delle cose belle della vita: innalziamo dunque i  calici di vino rosso in  onore di Bacco ed Arianna, consapevoli “Che del doman non c’è certezza”.

 

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