Andrea Pozzo, le sue illusioni prospettiche ed i suoi segreti

di Vanessa Paladini

Andrea Pozzo (1642 – 1709), scolaro dei gesuiti a Trento,  fu maestro dell’illusionismo pittorico barocco. Nella chiesa romana di Sant’Ignazio realizzò  la sua più celebre opera  “Il trionfo di Sant’Ignazio” , oltre alla stupefacente cupola in finta prospettiva.

Allegato 1 (Falsa Cupola) (1)

La chiesa fu costruita a partire dal 1626 per interessamento di papa Gregorio XV Ludovisi, che quattro anni prima aveva canonizzato Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù.  La costruzione durò quasi un secolo, concludendosi con la consacrazione solo nel 1722.

Allegato 2

Osservando le volte affrescate con l’allegoria dell’Ordine e gli episodi della vita del Santo fondatore si nota come,  in 17 metri di larghezza e 36 metri di lunghezza,  il gesuita sfruttò tutte le sue conoscenze prospettiche realizzando il classico “sfondato-illusionistico barocco”.

Per abbracciare la totalità della volta  Andrea Pozzo segnò con un disco di marmo , lungo la navata, il punto ideale da cui l’osservatore potesse perdersi in  un vortice sublime di immagini e finzioni.  Ma qual è il segreto di Pozzo?

Si tratta di un esempio di anamorfosi , un neologismo del XVII secolo che significa “dare nuova forma ad una figura”. L’anamorfismo è un procedimento geometrico che permette di disegnare una figura che appare distorta ad un osservatore posto davanti ad essa, ma che assume proporzione da un particolare punto di vista, detto prospettico.

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L’attenzione dell’artista  gesuita fu rivolta alle due componenti fondamentali del disegno prospettico, “proporzioni” e “misure”. Proporzioni e misure rappresentano  l’impalcatura strutturale da cui non si può prescindere per conferire bellezza alla composizione. Il fatto che gli affreschi di Pozzo suscitassero dibattiti di natura architettonica  spiega  quanto la sua arte avesse superato i confini della decorazione pittorica.

Il primo documento scritto che descrive l’anamorfosi si trova nel “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci, in cui è disegnato il volto distorto di un bambino. Leonardo definisce questo modo di disegnare “Prospettiva accidentale” in quanto oggetti lontani dovevano essere raffigurati con misure maggiori rispetto a quelli vicini, al contrario di ciò che si osserva nella realtà.

Il trasferimento del disegno preparatorio sulla superficie da dipingere era uno dei passaggi  più delicati  di questa tecnica poiché il disegno doveva essere ingrandito e adattato alla geometria del piano pittorico. Il procedimento in questo caso era affidato all’uso della quadrettatura. Il problema emergeva  nel disegnare con precisione la variazione proporzionale della “graticola” sui vari piani del dipinto, in modo che dal punto di vista preferenziale tutte le linee apparissero in perfetta continuità.  Più difficile era il modo di far la graticola nelle volte, dove la superficie concava si presentava  spesso interrotta e presupponeva una deformazione controllata dal reticolo. In linea teorica, sarebbe stato sufficiente costruire una griglia di corde tese sul piano di imposta della volta e proiettare la loro ombra per mezzo di una “lucerna”. In questo modo  il pittore avrebbe potuto seguirne l’ombra col pennello, come esemplificavano alcuni trattati di grande diffusione.  Ma non è l’unica soluzione possibile.

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La deformazione anamorfica di una figura può essere realizzata in modo da ricomporre la figura originale nelle proporzioni corrette osservando il riflesso della figura stessa tramite specchi, solitamente di forma cilindrica o conica, chiamati anamorfoscopi. Bisognava dividere il disegno originale in un numero di caselle quadrate e affidare la loro proiezione ad un sistema ( in questo caso  a simmetria cilindrica) dove le caselle sono distorte fino a divenire porzioni di corone circolari. Per ottenere la visione del disegno originale è necessario osservarlo da uno specchio cilindrico, posto in corrispondenza del cerchio centrale della figura.

Il gesuita aveva appreso da un suo confratello Athanasius Kircher (1602-1680), autore del libro “Ars magna lucis et umbrae” , che lo specchio concavo  mostra le immagini fuori dalla sua superficie, facendole apparire sospese a mezz’aria.  L’uso sapiente di questo insegnamento si esplicita, nella chiesa di Sant’Ignazio , anche attraverso  la raffigurazione di un angelo che ha tra le mani uno specchio concavo in cui si riflette  un  Cristogramma.

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Allegato 3(Angelo con specchio concavo)

Pozzo rinunciò a qualsiasi forma di addolcimento delle  deformazioni prospettiche, come l’uso di più punti di fuga prediletto dai grandi quadraturisti del cinquecento, e si servì di un unico punto di fuga che potesse garantire il massimo dell’illusione.  A questo argomento l’artista trentino dedicò l’appendice conclusiva del suo trattato  teorico  “Perspectiva pictorum et architectorum”.  L’artista affermò che tutti i grandi maestri avevano sempre utilizzato  un solo punto di vista  e che il pittore non era obbligato a mostrarla corretta da tutti i punti di vista, ma da uno solo. Se  si costruisce l’opera per essere vista da più punti di vista, in nessuno di essi l’illusione sarà veramente convincente.

La distorsione dell’immagine che appare all’osservatore  – se non ammira l’opera dal punto di vista privilegiato –  “non è difetto ma lode dell’arte”.

Questo tipo  di deformazioni non apparteneva solo all’arte della pittura ma era un affascinante ramo della prospettiva, ovvero della miscela di geometria e psicologia della percezione.  Il periodo che va dal Rinascimento al Barocco è stato il più fiorente per ciò che riguarda gli studi di prospettiva inversa e anamorfismo, che hanno consentito agli artisti di creare illusioni e ricerca della sorpresa ancora oggi.

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