La pulitura dei dipinti, una “ipotesi critica”

Di Laura Corchia

La pulitura, come tutte le operazioni legate al restauro, è un intervento che, come ha sottolineato il Philippot, può essere considerato una “ipotesi critica”, dal momento che dipende da diversi criteri estetici ed anche dalla capacità e dalla sensibilità dell’operatore. Ciò è particolarmente evidente se consideriamo il problema dell’asportazione o della conservazione della patina, oggetto di una querelle che ha preso il nome di cleaning controversy e che ha coinvolto importanti studiosi come Cesare Brandi e Alessandro Conti.

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La polemica ebbe inizio nel 1947 quando, presso i laboratori della National Gallery di Londra, vennero esposte delle opere oggetto di pesanti interventi di pulitura. I restauratori inglesi, infatti, attuavano una pulitura integrale dei dipinti, asportando anche la patina e le velature originali nel tentativo di ripristinare la cromia originale e di riportare quindi l’opera agli antichi splendori. Essi ritenevano i loro interventi “oggettivi” e non arbitrari, a differenza invece delle puliture parziali effettuate dai restauratori dell’I.C.R. che, invece, dipendevano dal gusto e dalle decisioni di ciascun operatore. In realtà, quello che loro definivano un intervento “oggettivo” significava solo ridurre all’osso i colori e appiattire gli impasti cromatici attraverso delle inevitabili e standardizzate foderature.

Contro questo modo di procedere si schierò Cesare Brandi, il quale considerava due importanti aspetti legati alla patina: l’istanza storica e l’istanza estetica. Rimuovere la “pelle del dipinto” voleva dire privare l’opera dei segni del passaggio del tempo e non considerare quelle naturali evoluzioni dei materiali che, magari, il pittore aveva previsto fin dal principio.

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In tempi più recenti, il problema della patina è stato affrontato anche da Alessandro Conti, secondo il quale occorre partire dalla materia dell’opera d’arte per arrivare ad una oggettiva definizione della patina e trovare gli argomenti che ne giustificano la conservazione.  Secondo lo studioso, la patina è una alterazione del legante originale  che, soprattutto nella pittura a olio, tende a salire verso la superficie e a dare ai colori maggiore profondità e brillantezza.

La pulitura di una superficie pittorica può riguardare le macchie superficiali dovute a schizzi e colature, lo sporco che si è accumulato nel corso del tempo, le ridipinture debordanti, snaturanti, deturpanti o alterate, gli strati protettivi alterati.

Dato il suo carattere completamente irreversibile, la pulitura può essere considerata una delle più rischiose e delicate operazioni a cui si possa sottoporre un dipinto. Non esistono norme precise a cui attenersi ma, caso per caso, è necessario trovare una soluzione ottimale e valutare attentamente pro e contro. Nella rimozione di una vernice, si deve tener conto delle intenzioni dell’artista, dal momento che sono numerosi i casi in cui i pittori stessi sceglievano una determinata finitura in relazione alle modifiche che avrebbero voluto ottenere nel corso del tempo. Inoltre, sulla vernice potrebbero essere presenti delle velature e dei ritocchi che l’artista aveva apportato in fase finale.

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La composizione delle vernici è, d’altra parte, straordinariamente varia. Gli antichi ricettari ci restituiscono composizioni a base di chiara d’uovo, cere, oli siccativi, gomme e resine. Per evitare che i solventi possano svolgere una azione continua nel tempo, si dovrebbero evitare quelli a forte e lunga ritenzione: glicoli, butilammina, tetraclorometano. Da circa ventanni, sono state messe a punto nuove tecniche, caratterizzate da un’azione selettiva e da una bassa tossicità per l’operatore, come i tensioattivi e il laser.

 

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