Gustave Courbet: la rivoluzione del Realismo

di Laura Corchia

“… l’arte o il talento, secondo me, non dovrebbero essere per un artista che il mezzo di applicare le sue facoltà personali alle idee e alle cose dell’epoca in cui vive. In particolare, l’arte della pittura può consistere soltanto nella rappresentazione delle cose che l’artista può vedere e toccare. Ogni epoca può essere rappresentata solo dai propri artisti, voglio dire dagli artisti che in questa epoca sono vissuti. Ritengo gli artisti di un’epoca assolutamente incompetenti a rappresentare le cose di un secolo passato o futuro e cioè a dipingere il passato e l’avvenire. E’ in questo senso che io nego la pittura di avvenimenti storici applicata al passato. La pittura storica è essenzialmente contemporanea. Ogni epoca deve avere i suoi artisti che la esprimono e la rappresentano per i posteri. Un’epoca, che non ha saputo esprimersi per mezzo dei suoi artisti, non ha il diritto di essere espressa dagli artisti che vengono dopo. Sarebbe falsificare la storia”. 

Con queste parole Gustave Courbet sintetizza la poetica del Realismo, corrente pittorica che nasce e si sviluppa in Europa in seguito ad una serie di grandi e sanguinose sommosse popolari. In questo contesto complessivo di grandi fermenti politici e sociali, anche l’arte attraversa una sorta di crisi di identità. Gli artisti, di fronte ai nuovi fatti accaduti, si fanno narratori del vero e del quotidiano, cercando di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico.

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Nato a Ornans nel 1819, Courbet si forma quasi da autodidatta. Copia dal vero, studia la pittura dei maestri che lo hanno preceduto. La svolta avviene nel 1846 quando, secondo le sue parole, “dopo aver discusso sugli errori dei romantici e dei classici […] [levai] una bandiera che si conviene chiamare arte realista”. 

Nel 1850 scrive ad un amico:

” …nella nostra società, così civilizzata, sento il bisogno di vivere la vita di un selvaggio. Devo essere libero anche dai governi. Le mie simpatie vanno al popolo, e devo rivolgermi direttamente a loro.

Contrario ai corsi accademici, apre una propria scuola, dove per imparare non si ricorre alle lezioni teoriche ma alla pratica. La sua idea di insegnamento è ben espressa dalla frase che usa dire ai suoi allievi: “fai quello che senti, che vedi, che vuoi”. 

Gustave Courbet, Lo spaccapietre, 1849
Gustave Courbet, Lo spaccapietre, 1849

Sebbene la sua idea di realismo abbia radici culturali lontane, la tecnica è assolutamente innovativa. Abbandona qualsiasi riferimento ideologico e storico per dedicarsi ai piccoli fenomeni del quotidiano. Questa poetica è particolarmente evidente in opere come Lo Spaccapietre, dove raffigura un operaio intento a frantumare sassi con un piccone. La realtà è indagata in ogni più piccolo particolare: le toppe degli abiti, il panciotto strappato, i calzini bucati. Il povero uomo ha portato con sé il pasto che di lì a poco si appresterà a consumare: sono un cespuglio si possono scorgere una pentola e un pezzo di pane.

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Gustave Courbet, L'atelier del pittore, 1854-55
Gustave Courbet, L’atelier del pittore, 1854-55

Il manifesto del suo pensiero è però espresso nel dipinto raffigurante L’atelier del pittore: al centro rappresenta se stesso di fronte al cavalletto. Una modella nuda e un bambino osservano con interesse il paesaggio che sta dipingendo. Tutt’attorno una moltitudine di personaggi affolla la scena. A sinistra si scorgono ubriaconi, saltimbanchi e balordi, tutti personaggi che vivono ai margini della società. A destra raffigura i sogni e le allegorie in forma personificata e sui loro volti registra i ritratti di amici e conoscenti.

Gustave Courbet,  Ragazze in riva alla Senna, 1857
Gustave Courbet, Ragazze in riva alla Senna, 1857

Al 1857 risale il celeberrimo dipinto dal titolo Le signorine sulla riva della Senna. Due figure femminili, dai volti assonnati e un po’ volgari, sono distese sulla riva del fiume parigino. Goffe e sgraziate, sono state colte di sorpresa dal pittore mentre si riposano dopo la passeggiata che ha reso i loro volti lievemente accaldati. L’opera non è tuttavia eseguita dal vero, ma fu preceduta da numerosi schizzi e studi preparatori, e di alcuni di essi ci sono rimaste splendide testimonianze.

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Grande narratore della realtà, “Il maledetto realista”, come lo chiamavano in segno di disprezzo i sostenitori dell’arte accademica, si spegne il 31 dicembre 1877 a causa di una cirrosi epatica aggravata dallo smodato uso di alcolici. La sua grande lezione artistica e morale non venne comunque dispersa.

“Ho cinquant’anni ed ho sempre vissuto libero; lasciatemi finire libero la mia vita; quando sarò morto voglio che questo si dica di me: Non ha fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: l’unica cosa a cui è appartenuto è stata la libertà.”
(Gustave Courbet)