Viaggio nello Studiolo di Francesco I de Medici, dove si studiava il veleno degli scorpioni

Di Laura Corchia

Lo Studiolo di Francesco I de’ Medici (1541 – 1587),Granduca di Toscana, era un luogo magico. Nato come scrigno per i “gioielli della fonderia”, divenne il rifugio del principe.

Rischiarato solo dalla luce artificiale delle lanterne, questo luogo divenne teatro di numerosi esperimenti. Fra storte, fornelli e alambicchi, Francesco I studiava, tra l’altro, il veleno di diecimila scorpioni. Cercava un antidoto.

 

Questa degli scorpioni non è una favola. I documenti parlano di una fornitura, della quale si occupò Niccolò Sisti, allora direttore del Casino di San Marco.

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Nel 1576, Francesco ricevette la visita dell’ambasciatore veneziano Gussoni, il quale rimase impressionato dalla grandissima quantità di esperimenti che in Granduca andava conducendo: dalla fusione di cristalli di montagna alla scoperta del segreto della porcellana, dalle indagini sulle pietre dure alla creazione di gioielli.

Francesco I scrisse a Gussoni: soprattutto ho gran diletto di lavorare di lambicchi, formando molte acque, e olii sublimati atti al medicamento di molte infermità, e n’ha quasi per ognuna di esse. Gli scorpioni erano utili per produrre “un olio di eccellente virtù, che con ungersi di fuori li polsi, il cuore, e lo stomaco, e la gola e’ guarisce d’ogni sorte veleno, sana gl’appestati, e preserva i sani, è attissimo rimedio alle pestilentie, ad ogni sorte di febbre maligna”.

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Il Granduca aveva condotto testi decisivi sull’antidoto, sperimentandolo sui condannati a morte. Aveva fatto bere a questi “disgraziati” il veleno e poi li aveva guariti del tutto. Egli donò all’ambasciatore una preziosa ampollina di questo olio e questo dei veleni era un pallino della famiglia Medici. Lo dimostra il fatto che anche Cosimo, nel 1567, volle sperimentare un veleno, probabilmente inventato da Francesco I.

La scelta delle cavie umane ricadde su Francesco d’Andrea da Casanuova e Lazero d’Andrea, due condannati all’impiccagione. I due passarono dalle mani del boia a quello dei “medici” di corte che somministrarono loro un potente “sugho di nappello”. Francesco e Lazero videro la morte in faccia, delirarono, soffrirono ma, grazie all’antidoto sopravvissero. Cosimo decise allora di graziarli.

Ironia della sorte, nel 1587 Francesco l’alchimista morì in odore di veleno, seguito a brevi ore di distanza da Bianca Cappello. In realtà li aveva uccisi la malaria, ma la leggenda parlò per secoli del principe dei veleni tradito, proprio lui, da una sostanza mortale nascosta in una torta.

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