Jean-François Millet: quando la pittura incontra la fatica quotidiana

di Laura Corchia

Vicino alla scuola dei Barbizzonniers, Jean-François Millet coltivò sempre una pittura di paesaggio, ispirata soprattutto alla Normandia, paese che lo vide nascere nel 1814. Figlio di una coppia di contadini molto religiosi, dimostrò ben presto una precoce attitudine al disegno.

Alla morte del padre, avvenuta nel 1837, si trasferì a Parigi dove iniziò a frequentare l’École des Beaux-Arts sotto la direzione del pittore Paul Delaroche. Inizialmente indirizzato al ritratto, si dedicò progressivamente a temi di vita contadina: nel 1847 espose al Salon di Parigi, l’importante mostra annuale che consacrava i migliori artisti dell’epoca. Grazie a questa esperienza entrò in contatto con importanti personalità del mondo dell’arte, come, ad esempio, il mercante Paul Durand-Ruel.

Nel periodo di Barbizon, si dedicò a rappresentazioni di scene agresti a metà strada tra il naturalismo e il realismo: i protagonisti dei suoi dipinti, contadini o persone delle classi più umili, sono ritratti con una grande dignità e forza d’animo.

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In “Le Spigolatrici”, tre donne chine nel lavoro sono rese in termini quasi scultorei, viste come nell’atto di un rituale lento e nobile. Sono figure possenti, protagoniste assolute nella loro semplicità ed umiltà. L’idea di guardare al sociale riguarderà anche poi l’Italia con i Divisionisti. Millet dipingeva per lo più la vita quotidiana dei contadini, in mezzo ai quali viveva; riuscì in questo modo, con la sua arte apparentemente semplice ed espressiva, a stringere rapporti con un pittore della scuola di Barbizion come Rousseau ed ad ottenere il rispetto della giovane generazione impressionista.

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L’opera più nota di Millet è l’Angelus, in cui ci presenta due contadini che, prima di iniziare il lavoro della loro giornata, si raccolgono in preghiera. L’Angelus è l’ora del mattino quando i rintocchi delle campane annunciano l’inizio di un nuovo giorno. Le due figure sono stagliate su un orizzonte ampio e basso che dà al quadro un’ampia ariosità. La luce aurorale è molto suggestiva e dà al quadro una colorazione calda, fatta di tonalità arancio. Questa luce, proveniente dall’orizzonte, illumina le figure dei due contadini di spalle, ossia sul lato che noi non vediamo. Questa tecnica di illuminare una scena dal fondo è detta «controluce». In questo caso, Millet usa il controluce con una evidente finalità lirica. Le due figure sembrano proiettate idealmente nella luce (verso la quale stanno probabilmente rivolgendo la loro preghiera) e il lato in ombra che noi vediamo sembra accentuare il loro raccoglimento interiore. Tutta la scena è pervasa da una liricità evidente, fatta di sentimenti buoni, di semplicità ma anche di grandi valori.

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In Millet, il ricorso a queste scene agresti, ha sempre il significato di una evasione dal mondo urbano, per ritrovare la semplicità e la purezza nel mondo rurale. In questo c’è ancora una idealizzazione di matrice romantica. Manca l’intento polemico di Courbet, che vuole far emergere alla coscienza collettiva i problemi sociali, per scegliere invece la più comoda soluzione della fuga in un mondo idilliaco ma forse inesistente. Ed anche per questo motivo i quadri di Millet risultano più accettabili dal pubblico del tempo. C’è il tono lirico. Vi sono i principi classici di una composizione esteticamente gradevole: l’orizzonte basso e diritto, le figure poste in posizione simmetrica ed equilibrata, l’uso delle luci e del chiaroscuro per modellare le figure. Vi è, inoltre, la raffigurazione di una classe sociale, i contadini, che pongono minori problemi di scontro sociale alla classe dominante del tempo. E, quindi, per il pubblico borghese risulta più facile accettare in un quadro l’immagine di un mondo rurale, dai toni idilliaci ed arcadici, che non quella degli operai, dei proletari e dei reietti urbani in genere.

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