James Ensor: maschere e scheletri per descrivere la commedia della vita

di Laura Corchia

Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”

Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila

Nato nel 1860 a Olbenga, un piccolo borgo di pescatori, James Sidney Edward Ensor è figlio di un intellettuale inglese e di Marie Catherine Haegheman, una piccola borghese del posto la cui famiglia è proprietaria di una bottega di souvenir e di articoli curiosi. Il negozio garantisce il sostentamento agli Ensor e il futuro pittore cresce immerso tra “conchiglie, merletti, pesci rari impagliati, vecchi libri, incisioni, armi, porcellane cinesi, un guazzabuglio inestricabile di oggetti eterocliti”.

Questa wunderkammern esercita un forte influsso sul giovane James, il quale in seguito dirà: “La mia infanzia è stata popolata da sogni meravigliosi e la frequentazione della bottega della nonna, completamente screziata di riflessi di conchiglie e di sontuosi merletti, di strane bestie impagliate e di armi terribili di selvaggi mi incutevano timore […] quest’ambiente straordinario ha senza dubbio sviluppato le mie facoltà artistiche”.

James Ensor (1860-1949) La mangiatrice di ostriche 1882
James Ensor (1860-1949)
La mangiatrice di ostriche
1882

Con il sostegno del padre, si iscrive all’Accademia di Bruxelles, ma poco dopo preferisce abbandonare i corsi e ritornare nella città natale dove, salvo brevi soggiorni a Londra, nei Paesi Bassi e a Parigi, resterà per tutta la vita. Le prime opere mostrano un interesse verso i soggetti quotidiani e intimi, come La mangiatrice di ostriche, che raffigura la sorella intenta a mangiare e circondata da fiori, piatti e tovaglie. Più che per il soggetto, l’opera colpisce per la resa della luce che si riflette su bicchieri e specchi. Per l’artista, la luce si contrappone alla linea che è, essa stessa, “nemica del genio” e “non può esprimere la passione, l’inquietudine, la lotta, il dolore, l’entusiasmo, la poesia, sentimenti così belli e così grandi […]”. Alcuni critici parlano allora di un Ensor impressionista, ma l’artista rifiuta categoricamente questa etichetta: “Sono stato collocato, a torto, tra gli impressionisti, millantatori della pittura en plein air, affezionati ai toni chiari. Prima di me, nessuno aveva compreso la forma della luce e le deformazioni che essa fa subire alla linea. Quest’aspetto non era stato affatto considerato e il pittore obbediva soltanto alla sua visione. Il movimento impressionista mi ha lasciato piuttosto indifferente. Edouard Manet non ha superato gli antichi” afferma nel 1899.

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La sua particolare idea della luce è evidente nei paesaggi, caos primordiali, dominati da un soffio divino. La luce è così “vivace”, o “cruda”, oppure “triste e spezzata”, o “intensa”, addirittura “splendente”. Essa diminuisce, aumenta, lotta con l’ombra o trionfa fino all’oscuramento.

Dopo il Salon de XX del 1887 e il confronto con la grande tela di Seurat, Ensor, molto sensibile alla critica, appare ferito, deluso, disperato. Nel corso di quello stesso anno, deve anche affrontare la scomparsa del padre e della nonna, figure alle quali l’artista era molto legato. Questi avvenimenti segnano profondamente Ensor e provocano una svolta nella sua carriera e nel suo atteggiamento.

James Ensor. La Mort et Les Masques. (1897)
James Ensor, La morte e le maschere, 1897

Già presenti nella sua opera sin dal 1883, le rappresentazioni di maschere e di scheletri assumono, a partire dal 1887 una posizione di primo piano. L’artista arriva addirittura a rivisitare parte della sua produzione risalente ai primi anni ottanta del XIX secolo al fine di inserire nella stessa questi motivi.
Maschere e scheletri rievocano sicuramente la strana atmosfera del negozio di famiglia e la tradizione del carnevale di Ostenda, ma hanno altresì una valenza simbolica. Le prime camuffano ed accentuano una realtà che il pittore giudica oltremodo sgradevole e crudele, mentre i secondi sottolineano la vanità e l’assurdità del mondo. Nel 1888, Ensor affida al monumentale olio su tela Ingresso del Cristo a Bruxelles nel 1889 la sua risposta al quadro di Seurat e ai suoi detrattori. Questa’opera contiene, mischiati tra loro, tutti i principi dell’arte di Ensor: la luce che esalta i colori spinti alla loro massima brillantezza, l’ansia di modernità che trasferisce il Cristo nella Bruxelles del XIX secolo lacerata da contrapposti movimenti politici, le maschere che ingarbugliano la realtà e, per concludere, l’apoteosi del pittore. Al Cristo che fa il suo ingresso a Bruxelles, Ensor conferisce i suoi lineamenti come a voler sacrificare la sua vita e la serenità alla pittura.

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James Ensor - Il Giudice Rosso - 1890
James Ensor, Il Giudice Rosso, 1890

Contemporaneamente alla realizzazione del suo quadro programmatico, Ensor si vendica degli attacchi di cui è vittima in una serie di pannelli virulenti, di incisioni, di disegni che denunciano le grandi ingiustizie e le piccole meschinerie del suo tempo. In questa fine secolo, tali opere raggiungono un livello di veemenza e di libertà mai visto prima.

Fondamentali e costanti nella sua vita restano gli autoritratti. “Sarebbe sorprendente se Ensor, il quale ama più di ogni altra cosa al mondo la sua arte e di conseguenza mette su un piedistallo colui che ne è l’artefice, in altre parole sé stesso, non avesse moltiplicato all’infinito la propria effigie” scrive il poeta e critico Emile Verhaeren nel 1908 nella sua monografia dedicata all’artista. 

James Ensor, Self-portrait with Masks (detail), 1899
James Ensor, Autoritratto con maschere, 1899

Giovane e in forze, pieno di speranze e di vitalità, triste ma talvolta splendido, così appare nei suoi primi quadri. Presto, tuttavia, l’artista lascia che il rancore prenda il sopravvento sottoponendo la sua immagine ad un gran numero di metamorfosi. Egli si raffigura così come un maggiolino, un buffone, si “scheletrizza”…Dapprima si identifica con il Cristo e poi con una misera aringa affumicata. Esegue la sua caricatura, si mette in ridicolo… Al tempo stesso è l’autore e la marionetta di commedie o di tragedie nelle quali, di tanto in tanto, sollecita i suoi detrattori per spietati regolamenti di conti.

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james_ensor_006_scheletri_che_si_riscaldano_1889
James Ensor, Scheletri che si riscaldano, 1889

Ensor non si esprime attraverso una sola tecnica, ma ricorre ai più disparati mezzi espressivi: disegno, incisione, pannello, olio su tela. Il suo volto compare  a casa sua, in mezzo alle sue maschere e ai suoi fantasmi, tratteggiando a lungo la sua mitologia e preparando il posto che gli spetta nella storia della pittura.

Fonte: Musée d’Orsay: Mostre al museo d’Orsay

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