Archip Kuindzhi: la magica luce del Nord

di Laura Corchia

“L’illusione della luce era il suo Dio, e nessun artista sapeva eguagliarlo nel raggiungere questo prodigio della pittura. Kuindzhi è l’artista della luce”

(Il’ja Repin)

Paesaggi pervasi da una luce vivida e accecante oppure immersi nell’irreale chiaroscuro di una luna piena, campagne inumidite dalla pioggia oppure immerse in un’atmosfera fosca e plumbea: sono questi gli scenari prediletti da Archip Kuindzhi, uno dei pittori più famosi ed apprezzati nella Russia della seconda metà dell’Ottocento.

Sulla sua vita sappiamo relativamente poco, dal momento che non ci sono pervenute lettere o altre testimonianze scritte. Anche la sua data di nascita è avvolta nel mistero. Secondo i documenti ufficiali sarebbe nato tra il 1841 e il 1842 a Mariupol sul mar d’Azov, in Ucraina. Di modeste origini (il padre era calzolaio), ricevette un’istruzione sommaria e nel 1866 si trasferì a San Pietroburgo, dove poté seguire i corsi all’Accademia solo in qualità di uditore. I suoi esordi furono nel solco della pittura di denuncia sociale, ma il vero e proprio successo arrivò nel 1873, quando un collezionista di nome Pavel Tretjakov avquistò uno dei suoi quadri. Tre anni più tardi, dopo un soggiorno in Francia, cominciò a dedicarsi al genere del paesaggio e a sperimentare insolite atmosfere luminose, conferendo ai suoi dipinti un carattere fortemente decorativo.

Nonostante il relativo benessere economico, visse sobriamente. Amava gli animali e si impegnava attivamente per favorire i giovani artisti. Il suo amico Il’ja Repin lo descrisse come “una persona rude dalla testa enorme, la capigliatura di un Assalonne e di occhi magnetici di un toro. Era bello come Assur, dio degli Assiri” aveva però “gravi lacune culturali, era grossolano e limitato, e non riconosceva alcuna tradizione”. 

Ma quell’uomo, bello fuori e limitato dentro, aveva però un talento straordinario: con il suo pennello era in grado di fermare sulla tela paesaggi fatti di puro colore, spinti fino alla soglia dell’irrealtà. Le forme si presentano estremamente semplificate e notevole è il contrasto tra la profondità delle scene e la piattezza dei singoli elementi che le compongono, come si può vedere in Boschetto di betulle, opera eseguita nel 1879.

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Boschetto di betulle
Boschetto di betulle, 1879

Anticipatore dell’Impressionismo, secondo Vladimir Orlowski otteneva questi effetti luminosi attraverso l’impiego di vetro sciolto. in realtà, egli faceva solo un largo impiego di velature colorate. I suoi paesaggi notturni rivelano campagne attraversate da fiumi o grandi specchi d’acqua e immerse in una luce irreale, a tratti verdognola. Si veda, a tal proposito, il dipinto intitolato Dopo la pioggia, in cui la vegetazione è resa con un verde abbagliante, ottenendo un effetto di incanto e prodigio.

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Dopo la pioggia, 1879

Il successo di Archip Kuindzhi si interruppe nel 1882 quando, per volere dello stesso, le sue opere non furono più esposte in pubblico. Egli dichiarò che “un pittore, come un cantante, deve esporre finché ha buona voce. Quando la voce comincia a calare, deve ritirarsi e non mostrasi più per evitare di essere deriso”. La decisione di ritirarsi dalla scena artistica fu dettata, dunque, da un probabile momento di stasi creativa, quella crisi che quasi tutti gli artisti attraversano in una particolare fase della loro vita.

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Nonostante questa decisione, la pittura continuò a fargli compagnia per tutta la sua vita e, solo poco prima di morire, Archip mostrò agli amici alcuni dipinti appartenenti a quella che egli stesso definì “la fase del silenzio”: si trattava di splendidi tramonti e di cime montuose immerse in una risplendente luce colorata. Una luminosità che per l’artista era pura magia.

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