Andrea Mantegna e la cotogna

Di Anastasia Malacarne

Andrea, che per identificarsi aveva scelto un motto alquanto presuntuoso, (Ab Olympo), nonostante si ponesse all’altezza degli dei era comunque un uomo, con le sue debolezze, le sue passioni e le sue manie. Il suo carattere burbero e iracondo infatti, che già si era manifestato in tenera età, lo portò a litigare furiosamente con il maestro, Francesco Squarcione, che tanto buono e generoso non doveva essere, se aveva adottato Andrea esclusivamente con lo scopo di non pagarlo per i suoi servigi alla bottega più alla moda che ci fosse a quel tempo a Padova. Il giovane Mantegna aveva mandato giù la prepotenza dello Squarcione per qualche anno, ma alla fine non lo sopportava proprio più, con le sue pretese e le sue imposizioni, e per di più senza trovarsi poi nemmeno un soldino in tasca. A soli 17 anni l’allievo ebbe l’ardire di trascinare il maestro in tribunale, che gli diede ragione e lo rese finalmente libero da quel precettore-padre-padrone che non permetteva al suo genio di esprimersi.

Ma Andrea aveva imparato molto in quella bottega, e le stesse ghirlande fiorite e cariche di frutti che gli allievi dello Squarcione dipingevano in grande quantità, rimasero ad incorniciare le storie ed i personaggi messi in scena dal Mantegna prima a Padova, poi a Verona, ed infine a Mantova, dove il Marchese Ludovico II Gonzaga l’aveva voluto ad ogni costo. Nelle sue opere ogni elemento diventava sublime ed acquistava un valore “altro”, persino le piante aromatiche e la frutta che abbondantemente rientravano nei menu quotidiani che rimpinzavano le principesche pance dei Gonzaga. E dal canto suo Andrea, che era mosso dalla grande passione per la storia e non disdegnava di travestirsi da antico romano durante i momenti di svago con gli amici, non poteva dimenticare la lezione di quegli artisti che nelle ville pompeiane avevano rappresentato trionfi di noci, pere, ciliegie, fichi e miele, guarda caso accompagnati da formaggi… segno che il gusto degli abbinamenti non è certo una scoperta recente. Ma il cibo, nelle raffigurazioni sacre e nelle celebrazioni dinastiche, non poteva essere una presenza fine a se stessa. Ed è così che nascono gli scenografici encarpi della Camera degli sposi, che fanno da cornice all’apoteosi della corte con succosi frutti e verzura lussureggiante, o ancora la splendida abside vegetale della Madonna della Vittoria, oggi al Louvre, in cui la Vergine è protetta da una struttura di foglie verdi in cui fanno capolino meloni, zucche, arance, pere e limoni, simboli della castità di Maria. Ma è nel Parnaso, glorificazione del matrimonio tra Isabella d’Este, la primadonna del Rinascimento, e Francesco II Gonzaga, che si ritrova il messaggio simbolico più forte, nel frutto che più di tutti allude all’amore: la mela cotogna. Ebbene sì, la tanto vituperata mela cotogna, troppo dura per essere addentata, era considerata sacra a Venere, chiamata in greco crysòmelon, ovvero mela d’oro, simbolo d’amore e di fertilità. Nell’opera, infatti, compare proprio accanto alla coppia formata da Venere e Marte. Anche Giovanni Bellini, il cognato di Mantegna, l’aveva resa protagonista ponendola tra le mani di Gesù Bambino come allusione alla resurrezione.

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Andrea Mantegna, Parnaso, 1497, tempera a colla e oro su tela, Louvre Parigi
Andrea Mantegna, Parnaso, 1497, tempera a colla e oro su tela, Louvre Parigi

Ma al di là dei suoi complicatissimi significati allegorici, la mela cotogna per Mantegna aveva ben altro peso. Nel 1475 egli scrisse al suo marchese lamentandosi vittima un gravissimo furto: “una di queste note mi fu rubato dal bruolo mio a Bascoldo forsi 500 pomi e per codogni”. 500 pere e mele cotogne! Il nostro Andrea, evidentemente considerando il torto subito un danno incalcolabile, chiedeva addirittura al suo signore di intervenire, perché sapeva benissimo chi fosse l’autore di un tale misfatto… Che qui non citeremo. Ma provate ad immaginare la rabbia dell’artista, che per quell’anno non avrebbe potuto deliziarsi con la consueta scorta di squisita mostarda mantovana. Chi di noi non avrebbe perso le staffe?

 

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