Riportiamo i versi secondo la tesi di Camiz e Ziino:
“Quam pulchra es et quam decora carissima in deliciis.
Statura tua adsimilata est palmae et ubera tua botris.
Caput tuum ut Carmelus […] Collum tuum sicut turris eburnea. […]
Veni dilecte mi egrediamur in agrum.
vinea si flores fructus parturiunt si floruerunt mala punica
ibi dabo tibi ubera mea”
(Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
Carissima mia, in mezzo alle delizie.
La tua statura somiglia a una palma
e a grappoli somigliano i tuoi seni.
Il tuo capo è simile al monte Carmelo […]
Una torre d’avorio è il collo tuo.[…]
Vediamo se la vigna è tutta in fiore,
Se i fiori partoriscono la frutta,
Se sono tutti in fiore i melograni.
I seni miei in quel luogo ti darò.)
Secondo Giulio Mancini, l’opera fu eseguita per il monsignor Fantin Petrignani. Questi abitava nella parrocchia di San Salvatore in Lauro a Roma e presso di lui Caravaggio trovò “la comodità d’una stanza” dopo aver lasciato la bottega del Cavalier d’Arpino. Tale informazione, però, non ha convinto unanimemente gli studiosi: vista l’importanza data al tema della musica, Maurizio Calvesi ha ipotizzato che l’opera sia stata commissionata da ambienti legati agli Oratoriani. Altri studiosi pensano che il committente possa essere Pietro Aldobrandini, cardinale che si dilettava di musica.
Un paesaggio raffigurato con estrema adesione al naturalismo fa da sfondo ad una scena intima e domestica. Il gruppo è raccolto attorno ad un bellissimo angelo che suona un violino. Maria e il piccolo Gesù si sono abbandonati ad un sonno ristoratore, mentre Giuseppe regge lo spartito e veglia sulla sua famiglia. Gli elementi naturali accanto all’anziano Giuseppe rimandano all’aridità e alla siccità, mentre la natura ed il paesaggio sono più rigogliosi a destra, dove si trova la Vergine col Bambino. Ai piedi della Vergine il pittore ha dipinto piante simboliche che alludono alla verginità di Maria (l’alloro), alla Passione (il cardo e la spina della rosa) e alla Resurrezione (il Tasso barbasso). La notevole bellezza dell’angelo rimanda all’allegoria del Vizio raffigurata nell’Ercole al Bivio che Annibale Carracci stava dipingendo per il soffitto di Palazzo Farnese proprio in quegli stessi anni.
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