Storia delle tre Grazie, dee della gioia di vivere

Di Laura Corchia

Figlie di Giove e di Eurinome, le Grazie impersonano la bellezza e la grazia e infondono gioia nel cuore degli dei e degli uomini. Esiodo, nella Teogonia, ricorda i loro nomi: Eufosina, Talia e Aglae. Fanno parte del seguito di Apollo o di Venere. Dalla dea della bellezza hanno ereditato alcuni attributi: la rosa, il mirto, la mela o il dado che sono solite recare nelle mani.

Raffaello Sanzio: Le tre Grazie.
Raffaello Sanzio: Le tre Grazie.

Nell’immaginario poetico, letterario ed artistico sono ritratte nude e abbracciate, quella al centro volge le spalle, mentre le altre due, ai lati, sono rivolte verso lo spettatore. Andate purtroppo perdute le raffigurazioni di epoca ellenistica, possiamo però ancora ammirare delle rappresentazioni di epoca romana. Una delle più note è quella che si ritrova sulle pareti di Pompei.

Nel Rinascimento, il tema delle tre Grazie è molto frequente. Se Sandro Botticelli, apporta delle piccole modifiche all’iconografia classica, rappresentando le fanciulle coperte da abiti sottili e trasparenti, Raffaello riprende il modello antico. Il suo piccolissimo dipinto, un olio su tavola di 17 x 17 cm, faceva probabilmente parte di un dittico con il Sogno del cavaliere. Entrambe le opere, infatti, sono ricordate nell’inventario del cardinale Scipione Borghese. Le tre fanciulle, di chiara derivazione ellenistica, stringono nelle mani i pomi delle Esperidi, simbolo di immortalità. La composizione semplice e spontanea è forse l’elemento che attrae e affascina. Le tre figure occupano l’intero spazio della scena, su uno sfondo spoglio, utile soprattutto, con i suoi toni di terra bruciata e con il tono del cielo, a mettere in risalto il bellissimo colore dell’incarnato. Nelle Grazie di Raffaello, si sente il movimento dello spazio attorno alle figure femminili, e noi, girando attorno a loro, ne percepiamo la perfezione e la rotondità dei corpi.

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Con il Manierismo e con il Barocco, le tre figure si liberano nello spazio e assumono forme e posizioni più disinvolte. Nell’Ottocento, il tema delle Grazie torna assai frequentemente, ad esempio nella scultura di Antonio Canova. Capolavoro della maturità dell’artista, il gruppo fu richiesto dall’ex imperatrice Joséphine de Beauharnais. Le tre fanciulle, dai corpi generosi e voluttuosi, si abbracciano e simboleggiano la “grazia” come qualità dello spirito e del sentimento. Vi è un gioco sottile di linee flessuose e morbide, di reciproci gesti lenti e studiati, di sguardi languidi e di parole quasi sussurrate in un’armonica composizione. Una piccola ara, su cui poggiano tre corone di fiori, s’erge da un lato, quasi nascosta dalla figura di sinistra che, con maggiore tenerezza, cinge con la mano il capo della figura centrale e la guarda con amore. Queste tre armoniche figure femminili colpirono profondamente Ugo Foscolo, il quale dedicò loro un poemetto (1812) rimasto incompiuto.

Scrive Foscolo nella dedica che precede i tre inni:

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«Alle Grazie immortali / le tre di Citerea figlie gemelle / è sacro il tempio, e son d’Amor sorelle; / nate il dì che a’ mortali / beltà ingegno virtù concesse Giove, / onde perpetue sempre e sempre nuove / le tre doti celesti / e più lodate e più modeste ognora / le Dee serbino al mondo. Entra ed adora.»

Antonio Canova, "Le tre Grazie"
Antonio Canova, “Le tre Grazie”

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