Bruno Munari: l’arte è un gioco

di Laura Corchia

C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri. 

(Bruno Munari)

Se è esistito un artista che, più di ogni altro, ha guardato all’innocente mondo dei fanciulli e dei loro giochi, questo non può che essere identificato in Bruno Munari, figura eclettica di intellettuale, che ha intrapreso,sovrapponendole, le carriere di artista, designer, educatore, scrittore.
Una vita dedicata alla totale espressione della creatività che l’artista ha declinato in ogni modo. Una vitalità straordinaria, alimentata sempre da ironia e curiosità, ha permesso a Munari anche di divagare sulla funzione degli oggetti per giocare in libertà, fino a realizzare cose forse inutili ma a dir poco ricche di fascino e di meraviglia.

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Nato a Milano, Munari è stato un grandissimo inventore. Così ci racconta della sua nascita e della sua vita d’artista: «All’improvviso senza che nessuno mi avesse avvertito prima, mi trovai completamente nudo in piena città di Milano, il 24 ottobre 1907.
Mio padre aveva rapporti con le più alte personalità della città essendo stato cameriere al Gambrinus, il grande Caffè Concerto di piazza della Scala, dove si riunivano tutte le persone importanti a bere un tamarindo dopo lo spettacolo.
Mia madre, in conseguenza di ciò, si dava delle arie ricamando ventagli.
A sei anni fui deportato a Badia Polesine, bellissimo paese agricolo dove si coltivavano i bachi da seta e le barbabietole da zucchero. Il caffè veniva dal Brasile, a piedi nudi. Sulla piazza del paese, tutta di marmo rosa, si passeggiava a piedi nudi nelle sere d’estate. Nel caffè niente zucchero. Le vacche erano nel Foro Boario dove improvvisavano ogni mercoledì (mercato) dei cori, non come alla Scala, ma con molto impegno.
Dopo le vacche ho avuto rapporti carnali con l’arte e sono tornato a Milano nel 1929 e un giorno di nebbia ho conosciuto un poeta futurista Escodamè che mi fece il favore di presentarmi a Filippo Tommaso Marinetti e fu così che inventai le
macchine inutili.
E adesso sono ancora qui a Milano dove qualcuno mi chiede se faccio ancora le macchine inutili oppure se sono parente col corridore (che poi era mio nonno, mentre lo zio Vittorio faceva il liutaio e il cuoco.
Scusatemi se lascio la parentesi aperta».

Quando era ragazzino, Munari, cresciuto a Badia Polesine, una piccola cittadina del Veneto, vicino al fiume Adige, trascorreva molte ore accanto alla ‘Macchina galleggiante’ sull’acqua «ad ammirare lo spettacolo continuo dei colori, delle luci, dei movimenti della Grande Ruota».

Osservava la Grande Ruota che dal fiume pescava penne di gallina, pezzi di carta, foglie di alberi, «alghe ed erbe acquatiche verdi come il vetro morbido», in uno scintillio di gocce, con un rumore di pioggia e con un odore misto di farina, acqua, terra e muschio…
Un bambino dunque ‘immerso’ nella natura con tutti i sensi, contemplatore attivo, attento alla natura in movimento, all’azione dell’acqua e dell’aria… suggestioni potenti che saprà poi trasformare in creazioni artistiche e far vedere anche a noi in un altro modo il mondo in cui viviamo.
Anche da quella esperienza di bambino, così come da tutte le altre (pensiamo a quella con gli artisti futuristi: è venuto a Milano perché li voleva incontrare ed ha iniziato a collaborare con loro già negli anni Trenta), Munari, sempre attento, sensibile, ha saputo trarre un insegnamento, quello che lo ha portato a sviluppare la conoscenza plurisensoriale nei bambini.
«Fin da ragazzo – racconta Munari – sono stato uno sperimentatore…, curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si fa normalmente».
«Durante l’infanzia – scrive l’artista – siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione.
Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali. Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende?» 
E l’artista si chiede con una certa preoccupazione come sarà l’ ‘uomo del futuro’. Forse senza naso e senza orecchi, perché non bada più al rumore e agli odori… Così lo disegna nel suo libro Da cosa nasce cosa e invita i designers a progettare tenendo presenti tutti i recettori sensoriali.

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Dalle prime Macchine inutili, concepite proprio per non funzionare e in aperta polemica con il mito del progresso, è poi passato alle Aritmie meccaniche del 1951: macchine che emettevano rumori privi di ritmo e addirittura il canto di uccellini.

Negli anni Quaranta ideò i Messaggi tattili, opere fatte di molti materiali e concepite per essere godute anche con gli occhi chiusi.  Si chiamano Prelibri, sono libri-oggetto, senza parole, per bambini che ancora non sanno leggere, ma che sono lì presenti con tutti i sensi, curiosi, con la voglia di scoprire cose nuove e di fare le cose che fanno i grandi… Sono libri ‘illeggibili’, ma con stimoli visivi, tattili, sonori, termici e materici, pieni di sorprese. Fatti per aiutarli a immaginare, a fantasticare, a essere creativi. I Prelibri, in particolare quelli tattili, sono dunque frutto delle esperienze culturali e artistiche associate ad un’ attenta osservazione e frequentazione dei bambini e a una profonda conoscenza della psicologia infantile. Si tratta di dodici piccoli libri, di carta, di cartoncino, di cartone, di legno, di panno spugna, di friselina, di plastica trasparente, ognuno rilegato in modo diverso.

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Per i più avventurosi poi inventà un Libroletto… Ma che cos’è? Un libro o un letto? E’ un libro ‘abitabile’! Progettato da Munari con Marco Ferreri nel 1993 è formato da sei cuscini di materiali diversi di cm. 70×70. Le brevi frasi del testo sono scritte sul bordo del cuscino, non c’è un inizio o una fine: le pagine si possono staccare dal libro per comporre storie sempre nuove.

Eterno fanciullo, credeva fermamente nelle capacità dei bambini di divenire gli uomini di domani. A tal proposito, egli sostenne: «Non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini perché ne crescano di migliori. E’ una strategia rivoluzionaria quella di lavorare sui e con i bambini come futuri uomini». Il suo sogno era quello di promuovere una società fatta di uomini creativi e non ripetitivi.

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Nel 1949 fece la sua comparsa il Gatto Meo Romeo e, poco più tardi, la Scimmietta Zizì, due piccoli giocattoli di gommapiuma e anime di ferro, a cui il bambino poteva cambiare posizione.

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Per gli adulti, Munari ideò le Sculture da viaggio, da dispiegare una volta giunti in ufficio o in una camera d’albergo troppo squallida.

Ma uno dei suoi capolavori fu la Forchetta parlante: piccole sculture ottenute pieganto i denti delle forchette. Questa serie, forchette in acciaio inox piegate all’espressività a discapito della funzione, sono un esempio emblematico di un’arte che si permette di concentrarsi esclusivamente sull’esercizio della fantasia.
E’ lo stesso Munari a spiegarlo: «questo delle forchette è un gioco, una specie di ginnastica mentale, come quello che faccio con i bambini».

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Munari ha saputo inventare e divertire, stimolare e sorprendere. Secondo Ernesto Nathan Rogers, “se fosse un musicista, Bruno ci inviterebbe a un concerto di maree, di piogge, di sete fruscianti, di stelle cadenti, di bisbigli. E ci farebbe riudire voci che ci erano passate accanto mentre stavamo distratti… “.

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