Artemisia Gentileschi a Galleria Spada: la potenza della pittura femminile

A cura di L’Asino d’Oro Associazione Culturale

In una cornice di eccezionale bellezza, quella di Galleria Spada a Roma, sono esposte due tele di Artemisia Gentileschi, artista romana e figlia d’arte molto richiesta nell’Italia del 1600. Ebbe una vita difficile e travagliata: dopo lo stupro subito, divenne la donna forte, determinata e decisa che riuscì a ritagliarsi uno spazio ampio nel panorama artistico dell’epoca, dominato completamente dagli uomini. Con la sua pittura, influenzata certo dal lavoro di Caravaggio, contribuì a definire le caratteristiche dell’arte barocca, portando un’assoluta novità nel campo, la sua visione femminile. Molte sono le opere di Artemisia che hanno come protagonista una donna, un’eroina biblica, come Giuditta o Ester, ma anche importanti figure storiche come Cleopatra.


Le due opere di Galleria Spada – Madonna che allatta il Bambino e Santa Cecilia – seppur giovanili (realizzate intorno tra il 1611 e il 1620) mostrano una forza e una potenza assoluta, totalizzante. Entrambe si contraddistinguono per la delicata e raffinata stesura cromatica, per la fermezza del modellato e per la forte intensità espressiva delle due figure femminili. Nella Madonna che allatta il Bambino, Maria, colta mentre allatta Gesù, ha gli occhi chiusi, quasi come dormisse per la stanchezza. Il figlioletto la vuole svegliare e le accarezza teneramente il volto, in un gesto intimo e quotidiano, pieno di amore. La figura della Madonna viene celebrata da una luce intensa e tersa che esalta le forme, i colori vivaci delle vesti e la loro sontuosità. E’ una figura colossale e imponente che occupa quasi interamente l’intero spazio della tela, divenendo quasi monumentale ma che grazie alle sapienti pennellate di Artemisia, rimane comunque leggera e delicata, come il panneggio degli abiti e delle vesti. Ciò che stupisce osseIn una cornice di eccezionale bellezza, quella di Galleria Spada a Roma, sono esposte due tele di Artemisia Gentileschi, artista romana e figlia d’arte molto richiesta nell’Italia del 1600. Ebbe una vita difficile e travagliata: dopo lo stupro subito, divenne la donna forte, determinata e decisa che riuscì a ritagliarsi uno spazio ampio nel panorama artistico dell’epoca, dominato completamente dagli uomini. Con la sua pittura, influenzata certo dal lavoro di Caravaggio, contribuì a definire le caratteristiche dell’arte barocca, portando un’assoluta novità nel campo, la sua visione femminile. Molte sono le opere di Artemisia che hanno come protagonista una donna, un’eroina biblica, come Giuditta o Ester, ma anche importanti figure storiche come Cleopatra.
Le due opere di Galleria Spada – Madonna che allatta il Bambino e Santa Cecilia – seppur giovanili (realizzate intorno tra il 1611 e il 1620) mostrano una forza e una potenza assoluta, totalizzante. Entrambe si contraddistinguono per la delicata e raffinata stesura cromatica, per la fermezza del modellato e per la forte intensità espressiva delle due figure femminili. Nella Madonna che allatta il Bambino, Maria, colta mentre allatta Gesù, ha gli occhi chiusi, quasi come dormisse per la stanchezza.

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Il figlioletto la vuole svegliare e le accarezza teneramente il volto, in un gesto intimo e quotidiano, pieno di amore. La figura della Madonna viene celebrata da una luce intensa e tersa che esalta le forme, i colori vivaci delle vesti e la loro sontuosità. E’ una figura colossale e imponente che occupa quasi interamente l’intero spazio della tela, divenendo quasi monumentale ma che grazie alle sapienti pennellate di Artemisia, rimane comunque leggera e delicata, come il panneggio degli abiti e delle vesti. Ciò che stupisce osservando l’opera è la grande tenerezza del colloquio tra la madre e il bambino che, da solo, rivela una poetica tutta femminile: ma a dipingere è una donna e questo è appunto il particolare punto di vista che emerge con forza in molte sue opere.
In Santa Cecilia si ritrovano alcune medesime caratteristiche, come per esempio la monumentalità della figura femminile che con assoluta potenza emerge dal fondo scuro, riempiendo quasi interamente la scena. Artemisia sceglie di rappresentare la santa in piedi mentre suona il liuto, anche se lo strumento che abitualmente la identifica è l’organo portativo.

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Esso è entrato nella iconografia di Santa Cecilia come “strumento emblema” a causa di una dubbia interpretazione di un passo liturgico. Louis Goosen nel suo Dizionario dei santi spiega che nell’VIII secolo, nella liturgia celebrata nel giorno della sua festa, il 22 novembre, il testo recitava “cantantibus organis Caecilia virgo soli domino decantabat” (mentre la musica risuonava, la vergine Cecilia cantava al suo unico Dio). Più tardi questo passo venneverso l’alto, come se fosse in estasi e, consolata dall’armonia della musica, Cecilia si eleva così alla gloria dei cieli. E’ uno sguardo potentissimo che esalta l’intera essenza mistica e divina della giovane donna ritratta: è così che Artemisia riusce a rendere perfettamente il trasporto interiore della protagonista.
“L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia la pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità”. Così nel suo saggio del 1916, lo storico dell’arte Roberto Longhi definisce Artemisia Gentileschi, riconoscendole pienamente lo status di artista, a tre secoli di distanza dall’epoca che l’aveva vista protagonista.

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Bibliografia
– Catalogo della mostra “Artemisia Gentileschi e il suo tempo”, ed. Skira
– Guida alla Galleria Spada, a cura di Maria Lucrezia Vicini, Ed. De Luca

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