Umberto Boccioni: il dinamismo nell’arte

di Laura Corchia

“Nascere, crescere e morire, ecco la fatalità che ci guida. Non marciare verso il definitivo è un rifiutarsi all’evoluzione, alla morte. Tutto si incammina verso la catastrofe! Bisogna dunque  avere il coraggio di superarsi fino alla morte, e l’entusiasmo, il fervore, l’intensità, l’estasi, sono tutte aspirazioni alla perfezione, cioè alla consumazione”.

(Umberto Boccioni)

Formatosi prevalentemente a Roma, Umberto Boccioni (1882 – 1916) nacque a Reggio Calabria da una famiglia romagnola.

La sua attività si svolse prevalentemente a Milano, dove si era stabilito nel 1906. La città, con i suoi rumori e il suo incessante ritmo, fu protagonista di una delle sue opere futuriste più famose: La città che sale. 

Umberto Boccioni, "La città che sale", bozzetto, 1910, collezione privata
Umberto Boccioni, “La città che sale”, bozzetto, 1910, collezione privata


Inizialmente intitolata ‘‘Lavoro”, l’opera è una tela di grandi dimensioni (misura 2 metri per 3), frutto di vari tentativi e studi preparatori che hanno richiesto un grande impegno. Da una lettera dello stesso artista, si deduce che è stata iniziata nell’estate del 1910. Inizialmente Boccioni ha realizzato parecchi disegni e schizzi a penna e matita in diverse zone industriali di Milano.
Questo celebre dipinto, emblematico del ‘900, rappresenta in un vortice di movimento e luce il sorgere di nuove costruzioni. La volontà è quella della resa dinamica di un’emozione, uno stato d’animo provocato dalla realtà, dinamica e frenetica, della città moderna.

L’elemento dominante è il gigantesco cavallo rosso, in primo piano, simbolo del dinamismo tecnologico. L’animale, rappresentato nello sforzo di trascinare un carico pesante, guidato da alcuni operai. In secondo piano la scena si moltiplica con altri uomini e cavalli, come in una sequenza di lampi. Sullo sfondo si vedono i cantieri e le impalcature dei palazzi in costruzione.
I colori puri, accesi nei toni caldi, aumentano l’effetto di energia, e sono stesi secondo la tecnica divisionista, con pennellate filamentose e curvilinee che creano come degli sciami luminosi, esaltando il dinamismo.
Le forme sono tutte basate su linee curve, sviluppate secondo lo schema diagonale. I corpi delle figure sono forme trasparenti e prive di contorni, generate dai corpuscoli colorati delle pennellate che formano delle onde di moto, come il vortice potentissimo generato dal cavallo rosso.

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Nel 1911 compose La strada che entra nella casa, in cui raffigurò la madre affacciata al balcone, ritratta mentre osserva la strada sottostante. Il rumore del traffico è reso attraverso la consueta frammentazione dell’immagine e il continuo mutamento dei punti di vista. Boccioni stesso descrisse la sua opera in questo modo:

« La sensazione dominante è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non si deve limitare a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone. »
Umberto Boccioni, La strada che entra nella casa, 1911
Umberto Boccioni, La strada che entra nella casa, 1911

Negli stessi anni iniziò i suoi esperimenti scultorei, dando rapidamente luogo a opere i cui titoli furono anche una dichiarazione di intenti, come Antigrazioso, un ritratto a olio di Margherita Sarfatti (1880-1961), critico d’arte di grande fascino e intelligenza.

Umberto Boccioni, Antigrazioso 1912
Umberto Boccioni, Antigrazioso, 1912

L’aspetto “antigrazioso” della figura femminile era stato affrontato in scultura da Medardo Rosso ne La portinaia (1883), la cui fisionomia è già caratterizzata dal “naso a paletta” che costituisce un particolare caratteristico di questa tipologia. La Sarfatti influenzò in modo determinante lo sviluppo della scultura di Boccioni, inducendolo ad abbandonare la sperimentazione polimaterica e a rivolgersi verso temi più classici.  Nel Manifesto tecnico della scultura futurista Boccioni teorizza il trascendentalismo fisico, che consiste nel “far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio”. Egli afferma inoltre la necessità di abolire la linea finita e la statua chiusa: “Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente”. Negando alla scultura ogni finalità veristica o narrativa, egli propone l’uso dei materiali più vari, allo scopo di creare quella realtà plastica autonoma che definisce scultura d’ambiente: “Avremo in una composizione scultoria futurista piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente mobili, per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico”. Questa parole trovano un riscontro puntuale in Fusione di una testa e di una finestra, complesso plastico polimaterico raffigurante la madre dell’artista, fortemente caratterizzato dall’interazione tra la figura e l’ambiente. Allo stesso tema si riferiscono anche le opere su carta presentate in questa sala, a partire dal disegno Controluce del 1910. È molto probabile che la scultura – realizzata tra l’autunno 1912 e l’inizio del 1913 e oggi perduta – fosse patinata a più colori, come teorizzato nel Manifesto: “Così una nuova intuitiva colorazione di bianco, di grigio, di nero, può aumentare la forza emotiva dei piani, mentre la nota di un piano colorato accentuerà con violenza il significato astratto del fatto plastico!”.

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Dopo aver studiato i cubisti, anche copiando alcuni particolari delle loro opere, come nel caso del disegno Studio di bottiglia e casamenti tratto da un particolare del Ritratto di Daniel-Henry Kahnweiler di Picasso del 1910, Boccioni decise di sfidare l’avanguardia parigina sul suo stesso terreno, in uno dei suoi temi preferiti: la natura morta con bottiglia. Già nel disegno citato egli inserì nella composizione elementi architettonici del paesaggio urbano. Ne realizzò poi tre varianti tridimensionali: Forme-forze di una bottiglia, opera in gesso perduta, Sviluppo di una bottiglia nello spazio per mezzo della forma, in bianco, e Sviluppo di una bottiglia nello spazio per mezzo del colore, patinata in rosso minio e anch’essa perduta. Egli volle conferire un accentuato dinamismo a un soggetto statico per definizione come la natura morta attraverso l’uso spregiudicato del colore, come già aveva teorizzato nel Manifesto e sperimentato nei complessi polimaterici, ma soprattutto con elementi squisitamente formali quali l’uso della spirale e l’equilibrio tra pieni e vuoti. Successivamente ripropose in pittura questo stesso soggetto, conferendogli importanza all’interno del quadro come elemento dinamico contrapposto alla rappresentazione statica del cubismo sintetico.

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La sua idea di scultura è, del resto, chiaramente espressa in questa frase: “In scultura come in pittura non si può rinnovare se non cercando lo stile del movimento, cioè rendendo sistematico e definitivo come sintesi quello che l’impressionismo ha dato come frammentario, accidentale, quindi analitico. E questa sistematizzazione delle vibrazioni delle luci e delle compenetrazioni dei piani produrrà la scultura futurista”.

 

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