Hieronymus Bosch: un’arte tra il meraviglioso e il terribile

di Laura Corchia

“Inventore nobilissimo e meraviglioso di cose fantastiche e bizzarre”

(L. Guicciardini)

Fin dai suoi esordi, l’arte ha visto a più riprese la raffigurazione di creature fantastiche e mostruose: uomini ritti sul proprio capo, chimere, draghi, sirene, corpi che al posto delle gambe hanno tralci vegetali.

Tra i tanti artisti che si cimentarono con la creazione di esseri mostruosi e meravigliosi, abitanti di terre che esistono solo nella fantasia, spicca Hieronymus Bosch, dotato di una immaginazione allucinata e portentosa. Nel 1584 il Lomazzo scrisse: … nel rappresentare strane apparenze e spaventevoli, orridi sogni fu singolare e veramente divino”.

Bosch nacque nel 1453 a Hertogenbosch, un piccolo paese olandese. ll nonno Jan e quattro dei suoi cinque figli, fra cui il padre dell’artista, Anton van Aken, erano pittori ed appare ipotizzabile una iniziale formazione nella bottega di famiglia.

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Le opere di Bosch, con la loro nitidezza, denunciano influenze fiamminghe, che il pittore rielaborò creando uno stile del tutto personale basato su “un’esecuzione piatta, a due dimensioni, grafica anziché pittorica: erede, sotto questo aspetto, dell’arte dell’illustrazione miniata”. La sua tecnica è spiegata nel 1604 da Carel van Mander, primo storico dell’arte olandese: “Come molti pittori antichi, [Bosch] aveva l’abitudine di tracciare l’intera composizione direttamente sul sostrato bianco e di ritoccare in seguito il disegno con tratti leggeri e trasparenti di colore per gl’incarnati, ottenendo cosí un effetto che deve molto al sostrato”.

Le opere create da Bosch rivelano immagini sconcertanti, paesaggi di fantasia nei quali si muovono esseri mostruosi e grotteschi. Nel suo Trittico delle delizie diede prova di tutta la sua grandiosa inventiva. Una rappresentazione estremamente complessa, nel cui ambiente brulicano decine e decine di esseri, ognuno diverso e intento a compiere un’azione difficile da decifrare. Un’umanità posseduta dal maligno, dominata dall’istinto, beffarda nei confronti del divino. Scrive Jérome Bosch: “Bosch evoca un male immateriale, un principio di ordine spirituale che deforma la materia, un dinamismo che agisce in senso contrario a quello della natura”.

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Interessante è la descrizione fornita da R. van Bastelaer tra il 1905 e il 1906: “A forme precise di pesci, piante, gamberi, uccelli esotici, insetti, unisce – con associazioni che sconcertano – quelle di cose inerti. Da panieri intrecciati, congegni metallici, armi e arnesi bellici, ricava esseri viventi rivestiti di gusci o conchiglie; con utensili domestici e arnesi da lavoro, fabbrica strumenti di supplizio, con una capacità di rinnovamento e un senso pittorico straordinari, una facilità di assimilare e armonizzare senza eguali”. 

E ancora, sostiene Rooses nel 1913: “Non si contentava di imitare; inventava. Una fantasia, la sua, instancabile, audace, sbrigliativa. Nelle immagini della vita vera eccitava le realtà più dimesse con amabili particolari in cui mescolava le invenzioni più folli… Inoltre era di un’abilità estrema. Spinse così lontano il gioco dei colori e dei toni, modulando talmente bene i più sensibili passaggi, che si pone all’ammirazione come uno tra i maggiori alchimisti della cromia”.

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Anche quando raffigura proverbi e scene sacre, non manca di ricorrere alla sua fervida immaginazione. Ne Le tentazioni di Sant’Antonio raffigura un bel paesaggio, graduato a terrazze. Il santo è rannicchiato in primo piano sotto una fragile tettoia di stoppie ed è accompagnato dal maiale, suo attributo. La scena è popolata da esseri mostruosi e maligni che sbucano dalle acque del ruscello o che si possono scorgere in lontananza.

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Mago, alchimista e stregone, Bosch non manca ancora oggi di suscitare fascino e sconcerto e pone non pochi interrogativi. Per certi versi, la sua figura è ancora avvolta da un alone di mistero, un enigma nel quale si muovono il suo pennello e le sue figure, sospese tra meraviglioso e terribile.

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