Enrico VII di Lussemburgo fu avvelenato e bollito. Lo svelano le indagini diagnostiche

di Laura Corchia

Prima avvelenato e poi bollito. Di certo, il povero Enrico VII d’Inghilterra (1275 – 1313) non avrebbe potuto immaginare per se stesso una fine peggiore.

A svelare i retroscena di questa morte raccapricciante è una ricerca condotta da Francesco Mallegni, docente di antropologia all’Università di Pisa e direttore del Museo Archeologico dell’Uomo di Viareggio. Lo studioso ha condotto delle accurate analisi sulle spoglie del sovrano e ha spiegato che “Da circa un anno, Enrico VII soffriva di antrace, una malattia che lo aveva attaccato durante l’assedio di Firenze e lo aveva costretto a ritirarsi a Pisa, città ghibellina da lui molto amata. Di lì era partito per l’impresa napoletana contro il riottoso e infedele Roberto d’Angiò seguendo la via Francigena, ma il male inesorabile, con grandi sofferenze, lo fece soccombere nei pressi di Siena”. La malattia si era manifestata con una piaga al ginocchio e, per poterla contrastare, il sovrano aveva cominciato ad assumere arsenico, un veleno che, se assunto in dosi massicce, è letale.

Tino di Camaino, Ritratto di Enrico VII, (Monumento funebre di Arrigo VII, 1313, Duomo di Pisa)
Tino di Camaino, Ritratto di Enrico VII, (Monumento funebre di Arrigo VII, 1313, Duomo di Pisa)

La ricerca ha fatto luce anche sul rituale funerario a cui fu sottoposto il cadavere del sovrano durante il trasporto a Pisa, dove Enrico VII aveva espresso il desiderio di riposare per sempre. “Le spoglie del sovrano – spiega Mallegni – sono risultate alquanto deteriorate non solo dal passare del tempo, ma dal trattamento che fu riservato al suo cadavere prima della sepoltura. Il corpo fu allontanato da Buonconvento su una lettiga camuffato come se fosse ancora in vita, per non far sapere della sua morte. Il fetore che emanava il cadavere, unito al lezzo della piaga che lo aveva tormentato per un anno, consigliò una sosta a Paganico dove, secondo le costumanze dell’epoca, più che altro germaniche, gli fu tagliata la testa”. 

Il corpo fu bollito in acqua e in seguito spolpato. Successivamente, lo scheletro fu bruciato su di una pira. “Abbiamo inoltre stabilito che il cranio è stato bollito a parte rispetto al resto del cadavere, dopo la decapitazione, perché la concentrazione dell’arsenico è più forte che nelle altre ossa; questo tipo di veleno si concentra infatti soprattutto nei capelli”. 

La pratica della bollitura era usuale e consentiva di trasportare i morti lontani dalla patria. Alcune fonti riferiscono che le salme venivano bollite nel vino per eliminare il cattivo odore, ma in questo caso il corpo del sovrano fu bollito solo nell’acqua. Le indagine hanno permesso altresì di ricavare altre informazioni su Enrico VII. Spiega Mallegni: “I segni dei muscoli sulle ossa dell’arto inferiore parlano di uomo che andava molto a cavallo, pratica che portò a un irrobustimento degli arti inferiori che non trova riscontro con quelli superiori. La lettura dei tratti mandibolari ci fa capire che soffrì di bruxismo, digrignamento involontario dei denti, che unito a un tic di cui soffriva all’occhio sinistro e di cui parlano le fonti, fa pensare a una persona alquanto tesa, mentre le fonti lo descrivono calmo e pensoso”. 

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