Dentro l’opera: la “Madonna del latte” di Jean Fouquet

di Laura Corchia

Una figura illuminata da una luce fredda e tagliente. Una Madonna, una regina o addirittura un demone. Osservando la “Madonna del latte in trono con il Bambino” di Jean Fouquet ci si pone più di un interrogativo: perché non ha i capelli? Perché invece del canonico velo indossa una corona riccamente ornata? Perché è circondata da cherubini che sembrano intagliati da rametti di corallo?

Jean Fouquet, Madonna del latte in trono con il Bambino, Dittico di Melun, 1450-1455
Jean Fouquet, Madonna del latte in trono con il Bambino, Dittico di Melun, 1450-1455

Il dipinto, databile tra il 1450 ed il 1455, faceva parte del Dittico di Melun, oggi smembrato. Commissionato a Jean Fouquet da Etienne Chevalier, si componeva, originariamente, di due scomparti: lo scomparto sinistro con Etienne Chevalier presentato da Santo Stefano, e lo scomparto destro con la Madonna del latte in trono con il Bambino.

Se la genesi e la cronologia dell’opera sono chiare e documentate, quello che colpisce è la strana rappresentazione. La Madonna ha le fattezze di una donna di alto rango. Il suo volto non ha nulla della dolcezza tipica della Vergine. La sua espressione sdegnosa ed altera si allontana da quella benevola che caratterizza le rappresentazioni coeve. Anche l’ambiente sembra suggerire una ostentata ricchezza: il trono adorno di perle e gemme, i cherubini rossi e blu che sembrano degli oggetti inanimati. I colori, privi di sfumature, si dispiegano in campiture piatte e delineano forme tornite e sode.

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Più che alla madre di Dio somiglia a una di quelle algide regine, come la Regina della neve delle favole nordiche o alla “belle dame sans merci” di certi poemi cavallereschi. 
Una tradizione vorrebbe fosse il ritratto di Agnès Sorel, la favorita del re di Francia Carlo VII.
Probabilmente non è vero, ma è, comunque, la conferma che il dipinto fu creato per un ambiente, chiuso, colto e raffinato come quello della corte francese. Agnès Sorel, figlia di Jean Sorel signore del Condun, aveva fama di essere una donna bellissima, squisitamente elegante e molto intelligente, come riportato dalle stesse cronache dell’epoca: “le sue vesti e i suoi gioielli erano di rara bellezza […] possedeva pellicce di martora, sete d’Oriente, vesti di drappo d’oro, le code delle sue vesti erano le più lunghe del regno. Non contenta di brillare con il suo abbigliamento, teneva a mostrare ciò che aveva di più bello e perciò scopriva abbondantemente spalle e petto.”

L’amore tra il re e la dama fu breve: Agnès morì infatti l’11 febbraio 1450 in seguito ad un aborto. Ecco che, dunque, il dittico commissionato dal tesoriere del re, Etienne Chevalier, potrebbe essere giustamente identificabile come un omaggio alla signora “dal bel seno”, come veniva definita all’epoca.

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Ma da dove derivano quei cherubini rossi? Il rosso era riservato ai serafini, simboli dell’intelligenza divina, mentre il blu era il colore dei cherubini.

Giovanni Bellini, Madonna dei cherubini rossi, 1490 circa
Giovanni Bellini, Madonna dei cherubini rossi, 1490 circa

Un soggetto simile lo ritroviamo, infatti, in una tavola di Giovanni Bellini del 1490 circa: la Madonna dei cherubini rossi. Tuttavia, a differenza dell’opera di Fouquet, qui l’iconografia sacra è immediatamente riconoscibile. La Vergine e il Bambino sembrano legati dall’affetto tipico di madre e figlio. Invece, il fascino della Madonna di Fouquet è di tutt’altro genere, un fascino ambiguo e, a tratti perverso, che invita più alla lascivia e alla libido. Che stia proprio in questa lontananza e nell’ambiguità del soggetto, sospeso tra immagine sacra e favola crudele, la malia sottile di questo dipinto?

 

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