Sul colle del Celio, a pochi metri di distanza dal Palatino e dal Colosseo, si trova l’area archeologica delle Case Romane presenti immediatamente al di sotto della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. La loro posizione le porta ad essere direttamente collegate all’edificio di culto cristiano, ma in realtà vantano una storia ben più antica.
Tutto ebbe infatti inizio nel II secolo d.C. quando lungo il suggestivo Clivo di Scauro – via intitolata all’omonimo censore romano nel 109 a.C. – fu eretta una lussuosa domus di due piani, con affaccio su un vicolo parallelo al Clivo, dotata anche di un grande impianto termale. All’inizio del III secolo d.C., di fronte alla domus, fu edificata un’insula, il tipico caseggiato romano a più piani, a pianta trapezoidale e con botteghe a pianterreno, accessibili tramite un porticato ancora oggi visibile lungo il Clivo. Tra le fine del III secolo d.C. e l’inizio del IV secolo un nuovo proprietario rilevò l’intero isolato, trasformando i due edifici in un’unica elegante abitazione, attraverso il collegamento degli ambienti commerciali dell’insula con i retrostanti vani pertinenti al primo piano della domus. I piani superiori del caseggiato invece rimasero in uso come serie di appartamenti in affitto. Nella seconda metà del IV secolo d.C., secondo la tradizione cristiana, in questo luogo vissero e subirono il martirio i santi Giovanni e Paolo, soldati romani uccisi al tempo di Giuliano l’Apostata (361-363 d.C.). E’ per questo motivo che esattamente al di sopra delle Case, fu edificato tra la fine del IV secolo e l’inizio del V secolo, il Titulus Pammachi, la fase più antica della basilica voluta dal senatore Pammachio, ultimo proprietario della domus.
Un edificio che vanta una storia così lunga non poteva non comportare significative modifiche nell’apparato interno decorativo. In molte stanze infatti è possibile ammirare affreschi databili dal III al IV secolo d.C. Molto interessante è infatti osservare come i soggetti più antichi corrispondano perfettamente al gusto pagano: festoni di fiori e frutta sorretti da Geni alati con graziosi amorini ritratti mentre vendemmiano (Sala dei Geni) o il racconto del mito di Proserpina che ritorna dall’Ade, raffigurata tra Cerere e Bacco (Ninfeo). Ma qualcosa di differente inizia a comparire nel IV secolo e precisamente nella Stanza dell’Orante. Il nome dell’ambiente si riferisce alla presenza nell’affresco della volta, suddivisa in numerosi spicchi figurati, di un personaggio con indosso una tunica ornata da una fascia purpurea, ritratto a braccia aperte in atteggiamento di preghiera. Nel resto della decorazione compaiono capridi ed ovini alternati a figure maschili, interpretabili forse come filosofi con in mano rotuli scritti, oltre ad elementi di stampo pagano, come maschere ed elementi naturali (ramoscelli di ulivi e viti, fiori, spighe di grano e mostri marini).
E’ proprio la presenza dell’orante e dei filosofi a portare alcuni studiosi a ritenere che nell’apparato decorativo vi sia da leggere l’intento del nuovo proprietario di ricondurre la domus ad un’abitazione di una famiglia cristiana. L’ambiente infatti risulta essere molto interessante proprio perché dimostra come nella società romana di IV secolo d.C., il clima culturale fosse di piena commistione tra mondo pagano e cristiano. E’ infatti qui ben chiaro come la pittura dei primi secoli di cristianesimo abbia derivato i propri stilemi da correnti artistiche già in atto e legate appunto al paganesimo o alle altre religioni praticate, attribuendo però alle rappresentazioni significati differenti. E’ questo per esempio il caso del sole, dell’agnello e del pesce o di immagini che illustrano concetti simbolici come le scene di banchetto per l’Ultima Cena e quindi la celebrazione dell’Eucaristia o lo stesso orante, simbolo pagano di sapienza che diventa in chiave cristiana la figura del Cristo filosofo. Tutto questo perché almeno fino al III secolo vigeva l’aniconismo, il divieto cioè di raffigurare Dio, e soprattutto nell’impero romano il Cristianesimo era ancora di fatto religione vietata che doveva quindi essere praticata in segreto.
L’idea quindi di rappresentare in una domus temi pagani che potessero però esseri spiegati con questa doppia lettura, rendeva di fatto più semplice giustificare la loro presenza. Quando invece il Cristianesimo si liberò del divieto, anche nelle Case Romane del Celio parve lecito affrescare, ormai nella seconda metà del IV secolo d.C., la Confessio con la rappresentazione del martirio dei santi Giovanni e Paolo e la figura nuovamente di un orante con ai suoi piedi, adoranti ed inginocchiati, il senatore Pammachio insieme alla moglie Paolina.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
- Spazio Libero soc.coop.soc., Case Romane del Celio. Guida Breve
- Claudio Bottini, Le Case Romane del Celio sotto la Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio, Il Quinto Cielo, Roma 2010.
- www.caseromane.it/it