Artemisia Gentileschi: la rivincita dell’arte

di Laura Corchia

“Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio tra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano me le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro.

E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.”

Una testimonianza raccapricciante, parole che colpiscono per la crudeltà e l’efferatezza dello stupro subito da Artemisia Gentileschi, giovane pittrice vissuta nella Roma del Seicento.

Nata nel 1593 e orfana di madre, Artemisia crebbe con il padre pittore, Orazio Gentileschi. Presso la bottega paterna, assieme ai fratelli, ma dimostrando, rispetto ad essi, maggior talento, Artemisia ebbe il suo apprendistato artistico, imparando il disegno, il modo di impastare i colori e di dar lucentezza ai dipinti. L’abilità della ragazza è testimoniata da una lettera che Orazio scrisse alla granduchessa di Toscana Cristina di Lorena:

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“questa femina, come è piaciuto a Dio, havendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere”.

Susanna e i vecchioni, 1610, collezione Schönborn, Pommersfelden
Susanna e i vecchioni

Ma il lento e monotono scorrere dei giorni fu interrotto da un fatto tragico, accaduto quando la pittrice aveva solo diciassette anni. Nel maggio del 1611, fu stuprata da Agostino Tassi, amico e collega del padre. I giudici, per verificare l’attendibilità dei fatti, sottoposero la giovane a torture di ogni tipo: i pollici le furono schiacciati, un danno che per una pittrice era ancora peggiore.

Il Tassi, essendo già ammogliato e con figli, non poté recuperare con un matrimonio riparatore, e così Artemisia fu costretta a prendere come marito Pierantonio Stiattesi.

Nonostante le sofferenze patite, Artemisia riuscì ad imporsi con la sua pittura. Viaggiò tra Roma, Firenze, Napoli e Londra, portando però sempre nel cuore quel dolore che le aveva lacerato l’esistenza. Ma tutte le sue opere portano il segno della brutalità e della vendetta. Nella sua prima tela raffigurante Susanna e i vecchioni, impossibile non scorgere la fastidiosa presenza maschile, due losche figure che esercitano la loro pressione sulla donna. Sui loro volti sono registrate le fattezze del padre e dello stupratore.

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Violenza e collera si respirano nei dipinti di Artemisia, protagonisti dei quali sono spesso eroine vestite con il prezioso blu di lapislazzuli.

Giuditta che decapita Oloferne
Giuditta che decapita Oloferne

In Giuditta che decapita Oloferne si legge un evidente desiderio di rivalsa per il torto subito. Lo storico dell’arte Roberto Longhi, nel descrivere l’opera, ha usato queste parole:

“Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d’un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato […] Ma – vien voglia di dire – ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?”

e aggiungeva:

“[…] che qui non v’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Schiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del ‘600 europeo, dopo Van Dyck”.

Questa Giuditta sanguinaria rivela un’implacabile sete di vendetta, un desiderio di rivalsa che nemmeno l’amore ricambiato per il nobiluomo Francesco Maria Maringhi riuscì a mitigare.

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Danae
Danae

Artista abile, sensibile e raffinata, seppe innestare, sul limpido rigore disegnativo ereditato dal padre, accenti fortemente drammatici, derivati da Caravaggio. La sua pittura teatrale predilesse le carni sode e dorate attraverso un rigoroso studio delle ombre e delle luci.

Morì a Napoli nel 1652. La sua fama cadde nell’oblio e di lei si perse ogni traccia, come spesso è accaduto a tante donne del passato. Ma oggi Artemisia è un’eroina, simbolo di resistenza e di rivalsa.

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