Apollo e Dafne di Bernini: storia di una metamorfosi

Di Tiziana Vizzino

“ll marmo pesa; va giù, verso il centro della Terra. Ma nasce un uomo, nel 1598, che decide di farlo lievitare, di tagliarlo, plasmarlo, modellarlo come un’elica, talché la materia si alzi, vibri nell’aria, domini gli spazi, e alla fine decolli … Tanto può l’illusione dell’arte. A tanto può spingersi la tecnica suprema della scultura” (Flavio Caroli).

 

Questo gruppo scultoreo appartiene alla collezione di quattro statue che Bernini realizzò per il Cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V.

La presenza di tale favola pagana nella casa del Cardinale fu giustificata da un inciso in latino composto dal Cardinale Barberini che dice: “chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano”.

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Bernini ha vinto la legge di gravità. Ha reso il movimento in scultura, operazione al quanto difficile considerata la natura del marmo. Lo ha lavorato e lisciato a tal punto  da renderlo una membrana sottile, simile alla pelle, in grado di mostrare anche quelle piccole pieghe che si formano ai fianchi quando si gira il busto. E’ riuscito a trasmettere vita al marmo concentrandosi in quell’istante: la metamorfosi di Dafne.

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Dopo averla a lungo inseguita, Apollo è ritratto nel suo ultimo slancio verso l’amata ninfa Dafne affondandogli  la mano sinistra sul suo fianco. Il vento, da narratore, gonfia il suo mantello e si scontra con il suo viso portandogli indietro i capelli. La sua spalla destra non è protesa in avanti come il resto del corpo. Allora Apollo non è ancora pronto o è contratto per la sorpresa?

Ma è lei, Dafne, ad essere “vittima” della Dea Gea che rispose al suo aiuto di salvarla da Apollo trasformandola in un albero di alloro. Dai suoi piedi la materia si affila e si tende lungo le sue gambe magre per germogliare sul braccio, avvolgendo, insieme al vento – narratore, i suoi capelli e sale sulle dita cercando il sole. E’ la forza della natura. La corteccia sta già avvolgendo Dafne fondendosi in parte con la sua carne. Il piede sinistro è già radice. La metamorfosi è iniziata. Le dite delle mani e le punte dei capelli sono foglie d’alloro. Ma lei ancora non sa cosa sta succedendo alle sue dita, il suo sguardo è ancora in avanti a sfuggire dal Dio Apollo.

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E dal volto di Dafne con la bocca semiaperta: paura per essere stata raggiunta e afferrata da Apollo o sollievo per la sua metamorfosi? O ancora per il suo destino oramai segnato? Non più dall’aspetto umano ma di alloro, l’albero preferito di Apollo che, vittima della sua stessa superbia che fece ingelosire Cupido, decise di concedersi a questa pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra e a rappresentare un segno di gloria da porre sul capo dei migliori fra gli uomini (generali vittoriosi sul Campidoglio), capaci di imprese esaltanti.

Una nobile passione è quella raccontata da Bernini che mette in gioco una partecipazione sentimentale non solo dei sue protagonisti ma coinvolge anche l’osservatore all’esaltazione di un’Arte che è l’eco di una grande Anima.

 

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