Vita di Camille Claudel: una scultrice sospesa tra amore e follia

di Laura Corchia

Le ho mostrato l’oro, ma l’oro che trova è tutto suo”.

(AugusteRodin)

Geniale e appassionata, sola e instabile, Camille Claudel nacque a Villeneuve sur Fere l’8 dicembre 1864. Decisa a diventare un’artista, visse un’infanzia segnata da amarezze e scarsa comprensione: la collera del padre si univa ai rigidi principi della madre che, estranea all’arte, non riusciva a capire il forte temperamento della figlia.

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Ancora bambina Camille cominciò a modellare da autodidatta. I suoi soggetti erano gli stessi membri della famiglia che, uno per volta, erano costretti a posare per lei. Completamente assorta nella sua arte e nella lettura dei libri che prendeva a prestito dalla biblioteca paterna, Camille accumulò una cultura eccezionale.

Nel 1881 si trasferì con l’intera famiglia a Parigi: qui ebbe modo di visitare più volte il Louvre e di prendere lezioni da Alfred Boucher all’Academié Colarossi. Il maestro capì subito che la ragazza aveva talento e, al momento di partire per un soggiorno in Italia, chiese ad Auguste Rodin di sostituirlo nell’insegnamento e gli raccomandò in particolar modo Camille.

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Tra i due nacque un rapporto di collaborazione: la ragazza posò spesso per l’artista e intervenne in alcuni suoi lavori. Lasciato lo studio che condivideva con alcune colleghe, si trasferì presso l’atelier di Rodin. Le lunghe ore trascorse a modellare e a lavorare gomito a gomito non poterono che rafforzare la loro unione, che ben presto sfociò in passione. Camille modellava la creta, impastava il gesso e scolpiva il marmo con energia e precisione e i critici cominciarono a dimostrare interesse per la sua opera.

Tra il 1887 e il 1894 i rapporti con Rodin si fecero burrascosi. In quegli anni Camille conobbe Debussy, il quale si innamorò perdutamente dell’artista. I sentimenti del musicista sono espressi chiaramente in una lettera da lui inviata nel febbraio 1891 a Robert Godet: ” … Ah! L’amavo veramente, e in più con un ardore triste poichè sentivo, da segni evidenti, che mai lei avrebbe fatto certi passi che impegnano tutta un’anima e che sempre si manteneva inviolabile a ogni sondaggio sulla solidità del suo cuore! Ora resta da sapere se lei contenesse tutto ciò che io cercavo! E se ciò non fosse il nulla. Malgrado tutto, piango sulla scomparsa del Sogno di questo Sogno. …” .

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Camille Claudel, La Valse, 1883-1901
Camille Claudel, La Valse, 1883-1901

Debussy tenne a lungo nel suo studio una delle sculture di Camille: La Valse. L’opera rappresenta una coppia che balla. Scrisse lo scrittore realista Octave Mirbeau “Dove vanno così smarriti nell’ ebbrezza dell’ anima e della carne, così strettamente uniti? Verso l’ amore o verso la morte? Le carni sono giovani, palpitano di vita, ma il panneggio che li circonda, li segue e rotea con loro, sbatte come un sudario”. 

La relazione irritò Rodin, ma non lo convinse a lasciare Rose, la compagna. Ciò portò ad una rottura definitiva con Camille, avendo lei compreso che mai sarebbe diventata la moglie dello scultore. Il sentimento del distacco è ben ravvisabile nell’opera L’Age mûr, in cui è ritratta una giovane donna in ginocchio che cerca di aggrapparsi ad un uomo più anziano che, a sua volta, si lascia trascinare da un’altra figura femminile. Paul Claudel, fratello di Camille, così commentò l’opera:  “Mia sorella Camille, implorante, umiliata, in ginocchio, lei così superba, così orgogliosa mentre ciò che si allontana dalla sua persona, in questo preciso momento, proprio sotto i vostri occhi, è la sua anima”. 

Camille Claudel, L'âge mur, 1895
Camille Claudel, L’âge mur, 1895

Il distacco aggravò la già precaria salute mentale di Camille, che nei momenti di disperazione arrivò a distruggere le sue opere. Nel 1913 entrò per la prima volta in manicomio e vi rimase per trent’anni. Morì il 19 ottobre 1943 in completa solitudine.

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Così la ricordò suo fratello Paul:
“Mia sorella Camille aveva una bellezza straordinaria, ed inoltre un’energia, un’immaginazione, una volontà del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è pervenuta a un fallimento completo”.

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