Lucio Fontana: l’artista che ha dato un taglio alla storia dell’arte

di Laura Corchia

“Le idee non si rifiutano, germinano nella società, poi pensatori e artisti le esprimono”

Lucio Fontana

Lucio Fontana è un artista enigmatico: ha parlato pochissimo nella sua vita ed ha prodotto moltissimo. Da validissimo scultore di lapidi in Argentina a scultore simbolista in Italia a pittore che inganna la giuria delle mostre, dando ai membri dei vetusti tromboni, sostenendo che le sue tele sono sculture, cosicché, seppur invitato da scultore, potesse esporre delle tele, Lucio Fontana ha sempre saputo stupire.

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Nato in Argentina nel 1899, si è distinto per la straordinaria capacità manuale che gli ha consentito di perseguire binari creativi diversi, continuando per tutta la vita anche una produzione di stampo tradizionale, fatta di terrecotte, sculture e disegni figurativi.

Dopo la fondazione del Manifesto Bianco (1946), diede avvio ad un movimento che definì Spazialismo, in omaggio all’esplorazione dello spazio che proprio allora stava iniziando a muovere i primi passi.

Nel 1947 diede inizio alla serie dei Buchi: la superficie del quadro si riempiva di crateri irregolari come cieli stellati. Lo sguardo dell’osservatore era così in grado di penetrare la superficie pittorica e di andare dentro ed oltre il quadro. Il fondo può essere monocromo oppure può ospitare elementi decorativi quali pietre, lustrini e sfumature.

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Lucio Fontana, Concetto spaziale. La fine di Dio, 1963
Lucio Fontana, Concetto spaziale. La fine di Dio, 1963

Ma è con la serie dei Tagli che Lucio Fontana si è guadagnato un posto d’onore nella storia dell’arte. Immortalato da Ugo Mulas, il suo gesto è stato oggetto di numerose critiche: “avrei potuto farlo anch’io”; “l’è un büs, e ciao…”; “non significa niente”; “lo saprebbe fare anche un bambino”; “e lo vendono a milioni di euro..”. Eppure quel gesto racchiude in sé una quantità di significati che difficilmente riusciremo a condensare in un solo articolo.

Lucio Fontana, Tagli.
Lucio Fontana, Tagli.

L’artista tagliava la tela talvolta disponendo una ferita al centro, più spesso eseguendo molte in una serie ritmica di linee. I primi quadri di questa categoria hanno la superficie ricoperta quasi sempre da aniline, successivamente invece la maggioranza di queste opere verrà caratterizzata dall’uso di idropittura. I “Tagli” all’inizio si presentano in fitte sequenze, poi tendono a ridursi a pochi o ad essere addirittura unici e netti, dove una garza nera ne chiude sul retro la luce. Anche in questa serie, si ritrova il titolo “Concetto spaziale” e “Attesa” che può variare al singolare o al plurale in base alla quantità di tagli realizzati dall’autore.

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Il taglio di Fontana è in primo luogo una ricerca di potenzialità spaziali ancora  inesplorate, di luoghi dell’arte oltre e dopo la tela, su cui, in centinaia di anni di storia dell’arte, si è impresso tutto quanto si poteva, da Caravaggio a Pollock. L’arte di Fontana supera la bidimensionalità per divenire tridimensionale.

Fontana

Con la precisione di un chirurgo, Fontana ferisce la tela e il suo gesto apre la luce al buio e il buio alla luce: ed in effetti dai suoi tagli sembra di vedere irradiarsi un buio luminoso che pervade l’atmosfera. C’è poi chi ha visto nei Tagli di Fontana una metafora dell’inconscio, quel luogo dell’anima dove si si nascondono tutti i pensieri più involontari. Ancora più efficace è l’equiparazione del taglio all’”extime” di Lacan, quel “luogo in cui l’interno è l’esterno e l’esterno l’interno, l’extimità”, uno strano mix di externo e intimità, una metafora, in ultima analisi, del senso profondo della persona e del suo essere nel mondo.

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Ugo Mulas, 'Lucio Fontana, Studio, Milano,' 1962
Ugo Mulas, ‘Lucio Fontana, Studio, Milano,’ 1962

I tagli sono poi “la parodia della bravura, dell’efficienza, dell’ottusa pazienza” (de Sanna). Con quel gesto veloce e impulsivo, sembra che Fontana cancelli in un solo istante tutta la tradizione passata fatta di certosina pazienza, di preparazione dei materiali, di studi preliminari. Come ha scritto Milan Kundera nel suo romanzo capolavoro, “Il vero antagonista del kitsch totalitario è l’uomo che pone delle domande.
Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto
per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro.

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