Le “Muse inquietanti” di De Chirico: ” l’immediata impressione di un silenzio stupefatto e lacerante”

di Laura Corchia

“Nel quadro, certo, la climax di angoscia e di disperazione rinasce dalle figure senza occhi e dai loro volti prosciugati: destando l’immediata impressione di un silenzio stupefatto e lacerante”.

(Eugenio Bornia)

Le muse inquietanti, datato 1916, mostra una piazza sul cui fondo compare una il castello estense di Ferrara e, sulla sinistra, una fabbrica con due ciminiere. A destra, un palazzo ad arcate segue l’ardita prospettiva, con un punto di fuga accentuatamente rialzato. Così, tutto pare come scivolare vorticosamente verso il primo piano, la cui scena è occupata da due manichini e da alcune scatole.

Giorgio De Chirico, Le Muse inquietanti, 1917
Giorgio De Chirico, Le Muse inquietanti, 1917

Profondamente colpito da Ferrara, De Chirico la descrisse come una città “quantomai metafisica“, capace di mostrare “lembi della grande notte medievale”, con le “vetuste mura teatralmente e romanticamente tenebrose”. Oltre che dall’aspetto urbanistico ed architettonico, l’artista rimaste colpito dalle vetrine dei negozi della città, che esponevano “dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane”. La scatola colorata in primo piano può essere dunque un ricordo di quelle che contenevano i dolciumi e che tanto avevano catturato l’attenzione e l’interesse dell’artista.

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Il verde del cielo, i rossi accesi e le ombre allungate alludono ad un crepuscolo estivo, mentre le sue figure in primo piano, una con la testa da manichino sartoriale e l’ altra che con le sue cuciture rievoca un fantoccio di stoffa, rappresenterebbero le due Muse inquietanti. Nella sua opera La Metafisica schiarita, Maurizio Calvesi sostiene che la mancanza di occhi dei manichini sia un riferimento ai poeti dell’antichità che, secondo la tradizione dell’antica Grecia, soffrivano di cecità. Sempre secondo l’autore, la “disumanità” delle Muse rimanda ad un'”umanità arcaica e originaria, veggente, eroica, abitatrice di tempi lontani e misteriosi e in questo senso, certo, disumana”.

Scrive Francesco Morante: “Le muse erano quelle figure mitologiche che proteggevano le arti. Esse venivano invocate dagli artisti per ricevere ispirazione al loro fare artistico. Nel caso di De Chirico le muse sono “inquietanti” perché devono indicare quella strada che va oltre le apparenze e devono quindi farci dialogare con il mistero. Ma esse ci forniscono un’ultima indicazione delle scelte artistiche del pittore. La sua ispirazione, come abbiamo visto, ha più riferimenti geografici e culturali che egli riesce con facilità ad assimilare e far propri, sintetizzandoli in una dimensione temporale dove non conta il prima e il dopo. Ciò che egli decisamente rifiuta è quel concetto di modernità, secondo il quale ha maggior valore ciò che supera il passato per proiettarci nel futuro, o quel concetto di progresso, per cui i valori sono scanditi dalla maggiore o minore novità dell’opera prodotta”.

Al tramonto dell’Occidente, le muse disorientano e inquietano, mentre le Grazie  che rasserenarono l’animo di Ugo Foscolo, italo-greco anch’egli, sono ormai solo un ricordo lontanissimo.

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