La chimica nella tavolozza: i colori come ‘ferri del mestiere’

di Laura Corchia

[…] gli eroi anonimi della tavolozza di Picasso escono in schiera dalle ombre guidati dal bianco permanente; ognuno si è distinto in qualche grande battaglia: il Periodo Azzurro, il Periodo Rosa, il Cubismo, Guernica… Ogni colore dice: “C’ero anch’io…”.

E Picasso, passando in rassegna i suoi vecchi compagni d’arme, onora ognuno di loro con un tratto di penna, un lungo segno che pare un saluto fraterno:“Benvenuto rosso persiano! Benvenuto verde smeraldo, azzurro ceruleo, nero avorio, viola cobalto, limpido e profondo, benvenuti!”.

Pablo Picasso, Prostitute in un bar, 1902
Pablo Picasso, Prostitute in un bar, 1902

La “lista della spesa” di Picasso nell’affascinante descrizione di Brassaï. In effetti ciò che è indispensabile al pittore è proprio il colore o, a dirla in termici tecnici, il pigmento, che non è solo colore, ma una sostanza che deve avere in sé alcuni requisiti indispensabili.

L’artista di ogni epoca, nel compilare la sua preziosa lista, deve tener conto, prima di tutto, della tinta che vuole ottenere. Egli ha a disposizione una gamma più o meno ampia a seconda del periodo storico: si possono trovare materie prime in loco o devono essere importate? Quali ricette preferisce la bottega? Esistono pigmenti sintetici o devono ancora essere scoperti?

Il pittore esperto sa, poi, quale sostanza è più adatta ad uno specifico supporto – tela, tavola o parete che sia.

Esistono pigmenti che non sono compatibili con la tecnica in affresco, vale a dire con l’intonaco: il cinabro o l’azzurrite, ad esempio, sono rispettivamente rossi e blu che possono essere stesi solo “a secco”, ossia quando l’intonaco è asciutto, con acqua come additivo.

Solo negli ultimi secoli gli artisti hanno iniziato a tener conto anche della tossicità dei pigmenti. Disturbi mentali e fisiologici, più o meno noti per pittori illustri quali Caravaggio o Van Gogh, sono riconducibili ad intossicazione da piombo (saturnismo), per uso di pigmenti come la bianca biacca o il giallo di Napoli.

Infine, anche il costo incide sulla scelta del pigmento, al punto che nel Medioevo venivano redatti contratti tra il committente e la bottega del pittore, in cui si specificava sia il pigmento che la quantità da impiegare e l’uso: per pigmenti come il prezioso oltremare, era considerata blasfema la miscelazione di questo colore ad altri. Di fatto, un costo più elevato era associato all’importazione di pigmenti di difficile reperibilità.

Questo è vero per quei pigmenti naturali di origine inorganica: minerali estratti da cave più o meno lontane. Esistono anche pigmenti di origine organica, cioè ricavati da piante o insetti, che vengono detti lacche. Sia gli inorganici che gli organici possono essere sintetizzati, cioè prodotti artificialmente dall’uomo.

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Ciò che stupisce e affascina in questo percorso di avvicinamento tra arte e scienza, alla scoperta delle materie prime e della loro produzione, è l’urgenza umana, cosciente o meno, di lasciare traccia di sé, e di farlo con materiali e tecniche sempre diversi e complessi.

Ma cosa sono esattamente i pigmenti? E in cosa differiscono dai coloranti?

I pigmenti sono costituiti da granelli di materiali insolubili nella fase disperdente (medium), con la quale formano un impasto più o meno fluido e impartiscono al mezzo il loro colore e opacità. I legami chimici tra i granelli e il mezzo disperdente sono deboli. Anche i coloranti allo stato puro si presentano sotto forma di polveri, però sono solubili nella fase disperdente e ogni singola molecola di colorante forma legami chimici più o meno stabili con le molecole della fase disperdente.

I pigmenti sono di origine inorganica, i coloranti invece sono di origine organica e possono essere trasformati in pigmenti facendoli assorbire su polveri o gel.

I pigmenti possono essere:

  1. Organici: hanno molecole costituite da atomi di Carbonio in combinazione con atomi di Idrogeno, Azoto ed Ossigeno.
  2. Inorganici: sono minerali, di solito ossidi o solfuri di uno o più metalli.

Inoltre si distinguono in:

  • Naturali: cioè di origine minerale, vegetale o animale
  • Sintetici: la cui molecola viene assemblata e modificata mediante un processo chimico industriale.

I pigmenti presentano delle specifiche proprietà:

  1. Insolubilità nel medium
  2. Stabilità chimica
  3. Stabilità fotochimica
  4. Inerzia nei confronti delle sostanze con cui devono essere miscelati.

A cui si aggiungono proprietà tecniche:

  1. Colore (esprimibile in termini di tinta, chiarezza e saturazione);
  2. Intensità del colore: la facilità con cui un pigmento mantiene il suo colore quando è mescolato con altri
  3. Resistenza al calore
  4. Lightfastness: resistenza alla luce. Si tratta di una proprietà legata alla composizione chimica del pigmento.
  5. Stabilità nel tempo: cioè resistenza agli agenti atmosferici
  6. Solubilità: un pigmento deve essere insolubile nella fase disperdente
  7. Opacità e potere coprente: cioè la capacità di oscurare la superficie di applicazione. Dipende dall’indice di rifrazione. Il potere comprende di un pigmento è proporzionale alla differenza tra l’indice di rifrazione del pigmento e l’indice di rifrazione del medium.
  8. Stabilità chimica: il pigmento non deve reagire con altre sostanze.

Fino al 1800 molti dei colori usati in pittura erano minerali finemente macinati. I loro colori erano determinati dai metalli che questi minerali contenevano (rame: verde azzurro; rosso: ruggine o ocre rosse; blu: cobalto; nichel verde mare).

I minerali idiocromatici presentano sempre lo stesso colore: malachite sempre verde, azzurrite blu scuro; diamante di vari colori e trasparente mentre grafite grigia e opaca (ma questo dipende dalla struttura cristallina e dal tipo di legame esistente tra gli atomi).

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I minerali allocromatici possono assumere colori diversi a causa della presenza di piccole impurità (diamante, corindone, tormalina posso avere almeno 6 colori a testa).

Con il termine Coloranti si indicano sostanze in grado di colorare un supporto mediante reazioni chimiche con il supporto stesso.

I coloranti sono per lo più sostanze organiche di origine vegetale o animale. Gli animali producono tuttavia sostanze solo di colore rosso. La gamma di colori ottenibile è limitata al giallo, blu, marrone e rosso. Gli altri colori possono risultare dal mescolamento di questi o dall’uso di mordenti diversi.

Il colore è dato dalla presenza di cromofori, gruppi di atomi che interagiscono con le radiazioni elettromagnetiche. Le molecole che contengono questi atomi sono definite cromogeni. La capacità di tingere della molecola è determinata dall’introduzione di gruppi funzionali NH2, NHR, NR2, OH, detti auxocromi.

I  coloranti devono avere 3 caratteristiche:

  1. Devono essere solubili o resi tali e devono fissarsi alle fibre o su altri materiali in modo stabile;
  2. Devono essere stabili alla luce;
  3. Non devono modificarsi con il chimismo del lavaggio.

Le fibre naturali utilizzate fin dai tempi più remoti sono di origine animale (lana, seta) e vegetale (cotone, lino).

Secondo la tipologia del processo impiegato per la loro applicazione, si distinguono:

  1. Coloranti a mordente: contengono composti che si legano a una matrice tessile tramite l’aggiunta di un mordente (nella maggior parte dei casi un sale metallico). Es. Robbia, cocciniglia.
  1. Coloranti al tino: insolubili in acqua nella loro forma originale e colorata. La fibra può essere impregnata con la loro forma leuco incolore, che è idrosolubile. In seguito all’esposizione all’aria, il colorante si ossida nella forma insolubile e precipita sulla fibra. Es. Indaco e porpora.
  1. Coloranti diretti: solubili in acqua. Possono essere facilmente applicati per immersione nel bagno di tintura. Es. curcuma, zafferano, oricello.

A differenza dei coloranti sintetici, i coloranti naturali sono meno stabili alla luce, alle variazioni di PH, e al calore e meno brillanti.

Dopo questa veloce disamina delle caratteristiche di pigmenti e coloranti, passiamo al lato pratico. Nella struttura di un dipinto, dove si trovano i pigmenti?

Questo bel dettaglio delle mani della fanciulla sapientemente ritratta dal Ghirlandaio ci aiuta a comprendere meglio la struttura di un dipinto.
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Ritratto di Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio (1488, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid).
Se infatti immaginassimo di “tagliare” una piccola porzione del dipinto in questione, proprio in corrispondenza di una delle mani e perpendicolarmente alla superficie, otterremmo una sezione trasversale (proprio quella che vedete nell’oblò!). Se poi potessimo osservare questa piccola sezione con l’aiuto di un microscopio, riusciremmo a distinguere diversi strati:
1. preparazione
2. disegno preparatorio
3. base per tutte le parti di incarnato
4. diversi strati di colore (da 4 a 6)
7. vernice
La preparazione è uno strato che viene steso sul supporto (una tela, ad esempio, o una tavola) per renderlo idoneo e stabile all’applicazione dei pigmenti. E’ generalmente di colore bianco, o con tinte colorate, allo scopo di ottenere contrasti e trasparenze che esaltino la brillantezza dello strato pittorico. Non deve essere troppo poroso, perché favorirebbe l’eccessivo assorbimento del legante aggiunto al pigmento. Ha una composizione diversa a seconda delle ricette tramandate alla bottega o all’artista: generalmente, si scelgono gesso e colla per la preparazione delle tavole e mestiche oleose più flessibili per le tele, anche su più strati. In tal caso, l’ultimo viene chiamato imprimitura. Consiste in uno strato traslucido e incolore di colla animale, resina diluita in solvente organico, olio o colore, allo scopo di isolare la pellicola pittorica dalla preparazione, ridurre la porosità del gesso e facilitare lo scorrimento delle tinte.
Su questa preparazione si può riprodurre un disegno preparatorio, vale a dire una prima bozza, più o meno dettagliata, del soggetto rappresentato. Lo si può tracciare con punte metalliche, che imprimono sulla preparazione segni in negativo, inchiostro, carboncino o aiutandosi con quadrettature (suddividendo il soggetto in quadrati da riprodurre sulla preparazione, anche con ingrandimenti o riduzioni) o cartoni .
A questo punto il pittore può scegliere una tinta che sia predominante nella sua rappresentazione, e stenderla sull’intera superficie. Per la resa cromatica della carnagione, non è insolito trovare del verde, ad esempio.
E’ a questo punto che si possono stendere i pigmenti prestabiliti, già preparati dalla bottega dell’artista, in strati sottilissimi insieme al legante (medium trasparente). E’ possibile, come nell’immagine che ho scelto per voi, che più strati di pigmento si sovrappongano, nel caso in cui il pittore o il suo committente non siano troppo soddisfatti della tinta iniziale.
Infine, affinché il dipinto sia protetto da agenti esterni, si deve stendere uno strato finale di vernice. Quest’ultima viene scelta anche in funzione di una migliore resa estetica: la superficie dipinta appare ora liscia e uniforme, rispetto alle irregolarità dovute alle particelle di pigmento – i puntini rossi del nostro oblò (!). In tal modo, il dipinto guadagna in lucentezza e in contrasti chiaro-scurali.
Tornati in superficie dopo questa curiosa “apnea”, vi invito a curiosare nel bel sito-web del Museo Thyssen (http://www.museothyssen.org/thyssen/estudios_tecnicos), che ospita l’opera citata.  Troverete un’interessante panoramica sulle indagini scientifiche che hanno permesso di conoscere meglio la fanciulla del Ghirlandaio.
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