Georgia O’Keeffe: “at last, a woman on paper”. Storia di una grande artista

di Laura Corchia

Famosa per i suoi dipinti raffiguranti soggetti floreali, Georgia O’Keeffe è l’emblema della donna-artista del Novecento: alla perenne ricerca di sé stessa e della propria indipendenza espressiva. 

Georgia O’Keeffe nasce nel 1887 in una fattoria nei pressi di Sun Prairie (Wiscounsin). Il padre, di origine irlandese, è un allevatore di bestiame mentre la madre è figlia di un conte ungherese emigrato in America nel 1848.

Nel 1905 Georgia si iscrive alla School of the Art Institute di Chigago, completando poi i suoi studi al Teacher College dell’Università Colombia. In quegli stessi anni incontra il futuro marito Alfred Stieglitz (1864-1946), affermato fotografo e proprietario della 291 Gallery sulla FifthAvenue a Manhattan. Anita, grande amica di Georgia, mostra per la prima volta i suoi lavori ad Alfred ed egli, colpito da tanta espressività, esclama la celebre frase: “at last, a woman on paper”. Tra i due nasce un grandissimo amore, suggellato da un matrimonio celebrato nel 1924.

Ma, si sa, le grandi passioni portano a volte anche grandi turbolenze: Alfred, carismatico e narcisista, esercita sull’artista una sorta di oppressione e così lei, nel tentativo di ritrovare la sua dimensione più intima, si trasferisce nel New Mexico. Lontani dagli occhi ma non lontani dal cuore, i due intrattengono una fitta corrispondenza nella quale emerge tutto il forte sentimento che li teneva legati: “Significhi così tanto per me che non ti dovresti avvicinare, stare vicino a me ti porterebbe l’oscurità invece della luce, ed è della luce eterna che dovresti vivere”, scrive Alfred. E Georgia risponde: “Ti amo, se solo fossi capace di amarti [… ] c’è molta vita in me [… ] Ho scelto di andarmene perché qui almeno mi sento bene [… ] Forse non mi amerai per questo ma per me sembra essere la cosa migliore che possa fare per te, spero che questa lettera non ti faccia male, è l’ultima cosa che voglio al mondo”.

Jimson Weed (1932) e White Iris (1930)

Nel New Mexico la pittrice si sente veramente a casa. Quella terra così aspra e sconfinata, fatta di colori caldi e tropicali, diviene uno dei suoi soggetti preferiti. Qui nascono alcune delle sue opere più famose, i cui soggetti sono fiori, paesaggi, conchiglie e ossa. Tutti gli elementi sono raffigurati in modo sintetico, la forma è ridotta fino a sfiorare l’astrattismo, con sfumature che mettono in evidenza la loro vera essenza. Obiettivo dell’artista è imprimere sul supporto emozioni e sensazioni.

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Nel 1945 Georgia acquista Ghost Ranch, a dodici miglia da Abiquiú. Questo luogo sperduto e affascinante diventa sua dimora stabile e grandissima fonte di ispirazione, come emerge da una lettera scritta ad Arthur Dove“Vorrei che tu potessi vedere quello che vedo fuori dalla mia finestra […] una scogliera di terra rossa e gialla al nord […] alcune colline rosa e viola di fronte e dei sottili cedri opachi, una sensazione di grandezza, è davvero un bel mondo qui”. 

E questo bel mondo emerge prepotente nei suoi paesaggi dipinti, così spogli del superfluo ma, al tempo stesso, carichi di verità.

Nel 1946, l’artista è colpita da un terribile lutto: viene a mancare Stieglitz. Chiusa nel dolore della perdita, trascorre le sue giornate dipingendo e passeggiando in quella terra desolata. Torna a casa con i suoi piccoli tesori raccolti durante quelle uscite: bucrani, sassi e conchiglie che poi diventano i protagonisti dei suoi quadri.

Pochi anni dopo, la salute è compromessa da una degenerazione maculare che la costringe ad una pittura fatta di ricordi. Dedicherà gli ultimi anni della sua vita alla ceramica. Morirà a 99 anni.

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