Frida Kahlo: pittura tra amore e dolore

di Laura Corchia

“L’angoscia e il dolore. Il piacere e la morte non sono nient’altro che un processo per esistere”

(Frida Kahlo)

“Quasi bella, aveva lievi difetti che ne aumentavano il magnetismo. Le sopracciglia formavano una linea continua che le attraversava la fronte e la bocca sensuale era sormontata dall’ombra dei baffi. Chi l’ha conosciuta bene sostiene che l’intelligenza e lo humour di Frida le brillavano negli occhi e che erano proprio gli occhi a rivelarne lo stato d’animo: divoranti, capaci di incantare, oppure scettici e in grado di annientare. Quando rideva era con carcajadas, uno scroscio di risa profondo e contagioso che poteva nascere sia dal divertimento sia come riconoscimento fatalistico dell’assurdità del dolore”. Così Hayden Herrera, celebre critica d’arte, descrive l’aspetto e il carattere della pittrice messicana Frida Kahlo. 

Frida Kahlo, Il piccolo cervo, 1946

Intraprendente, anticonformista, vitale e tenace, Frida incarna il prototipo della donna emancipata e libera, una vera e propria icona del movimento femminista. In un’epoca in cui l’arte era solo appannaggio dell’universo maschile, Frida seppe farsi strada e conquistare pubblico e critica. La sua pittura rappresentava una via di fuga dalla sua esistenza stessa, una vita precocemente segnata dal dolore e dalla sofferenza.

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Nacque nel 1907 nella Casa Azul di Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico, ma preferiva dichiarare di essere nata nel 1910 perché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana. Il padre Guillermo era un fotografo, mentre la madre era una benestante messicana di origini spagnole e amerinde.

Molto presto conobbe la malattia e il dolore. Affetta da spina bifida, a sei anni si ammalò di poliomielite, patologia che le lascerà una gamba più corta dell’altra. A diciotto anni rimase vittima di un terribile incidente: l’autobus sul quale viaggiava si scontrò con un tram. Un corrimano di metallo le trapassò il corpo, provocandole fratture multiple e terribili lesioni.

Roots by Frida Kahlo

La sua vita cambiò drasticamente. Costretta a letto per mesi, l’arte divenne il suo unico passatempo, una sorta di finestra attraverso la quale guardava se stessa e il mondo. Il letto a baldacchino aveva uno specchio e Frida iniziò dipingendo la sua immagine riflessa: “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio” affermò.

La pittura divenne così un balsamo per l’anima, un modo per continuare a vedere la vita a colori. In una lettera scrisse: “Perché studi così tanto? Quale segreto vai cercando? La vita te lo rivelerà presto. Io so già tutto, senza leggere o scrivere. Poco tempo fa, forse solo qualche giorno fa, ero una ragazza che camminava in un mondo di colori, di forme chiare e tangibili. Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva; immaginare la sua natura era per me un gioco. Se tu sapessi com’è terribile raggiungere tutta la conoscenza all’improvviso – come se un lampo illuminasse la terra! Ora vivo in un pianeta di dolore, trasparente come il ghiaccio. È come se avessi imparato tutto in una volta, in pochi secondi. Le mie amiche, le mie compagne si sono fatte donne lentamente. Io sono diventata vecchia in pochi istanti e ora tutto è insipido e piatto. So che dietro non c’è niente; se ci fosse qualcosa lo vedrei…”

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Nel 1928 conobbe il pittore Diego Rivera. Ne nacque un amore fortissimo e turbolento, culminato con un matrimonio “tra un elefante e una colomba”. Lei piccola e minuta, lui un omone corpulento e goffo. Fu un’unione segnata dalla passione e dai reciproci tradimenti. Frida rimase anche incinta di Diego, ma il suo corpo era troppo fragile per accogliere un’altra vita e perse il bambino che aveva in grembo.

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Entrò in contatto con André Breton  nel 1939, quando questi organizzò una mostra a New York. Lui voleva arruolarla nelle file dei surrealisti, definendola “una bomba avvolta in nastri di seta”. Lei, invece, si sentiva distante da qualsiasi movimento: “Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”.

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La sua arte, infatti, era un racconto autobiografico: i feti abortiti, le cicatrici su un corpo martoriato, le apparecchiature ortopediche, le bende e le lacrime.

Ma, nonostante la sofferenza, Frida amava profondamente la vita. La sua ultima opera, realizzata appena otto giorni prima della morte, raffigura succosi cocomeri e su una delle fette è scritto Viva la Vida.

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La vita l’abbandonò il 13 luglio 1954. Sull’ultima pagina del suo diario, Frida aveva scritto: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai indietro”.

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