Bacon, Freud – La Scuola di Londra – Opere della TATE: una mostra che volge al termine. Cosa abbiamo imparato (da imparare)?

di Carola Gatto

Se si passeggia per Roma in un pomeriggio piovoso qualunque, di un weekend invernale qualunque, le rovine e le imponenti vestigia dell’antica capitale del mondo ti rapiscono e non puoi fare a meno di restare a bocca aperta. La città non smette di stupire neanche quando la si confronta con il panorama artistico contemporaneo, soprattutto se, in quel pomeriggio piovoso qualunque, di un weekend invernale qualunque, ti balza all’occhio la pubblicità di una mostra straordinaria.

In un luogo straordinario.

In una città straordinaria.

Parliamo della “Mostra Bacon, Freud – La Scuola di Londra – Opere della TATE”, inaugurata il 26 settembre 2019 e che volge oramai al termine (chiuderà i battenti in data 23 febbraio 2020).  Ospitata nella suggestiva cornice rinascimentale del Chiostro del Bramante, la mostra ha rappresentato un evento particolarmente atteso dal pubblico e anche ben diffuso dai media (soprattutto sul web).

Un prestito della TATE insomma, come già avvenuto in passato, ma questa volta per raccontare la Scuola di Londra, quella del dopoguerra, quella un po’ bohémien e un po’ naif, un po’ primitiva e un po’ avanguardista (ma in fondo niente di tutto ciò). Una scuola che tecnicamente potrebbe essere ancora in atto, dato che alcuni dei suoi esponenti sono tuttora vivi. Certo, non Bacon.

Il quale rappresenta il nome di richiamo su cui punta il piano di comunicazione della una mostra (che ha anche tanto altro da offrire).

E nemmeno Freud, il secondo nome che viene accostato al primo nel titolo.

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(Sì, Lucian Freud, il nipote di Sigmund).

Chi altri? Grandi nomi dell’arte contemporanea quali Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego, protagonisti della scena Londinese dopo il secondo conflitto mondiale.

Nomi difficili da scrivere, figuratevi da pronunciare!

Nessun problema, a mediare la visita ci pensa una sapiente audioguida. Si tratta della voce narrante di Costantino D’Orazio, storico dell’arte e saggista, il quale più che un “guida” in senso stretto somiglia ad un giovane Podcaster. I più piccoli sono invece accompagnati tra le opere da una simpatica audioguida interamente pensata per loro, vivendo un’avventura in compagnia di Globber, un simpatico extraterrestre. Scelta felice anche questa, che deve farci riflettere circa l’importanza del coinvolgimento dei pubblici (di tutte le fasce di età) in un’esperienza di visita di questo calibro. Anche i cinefili sono accontentati, per la prima volta in Italia infatti un’interessante riflessione sulla mostra è affidata anche ad un autore cinematografico, Enrico Maria Artale, giovane regista italiano, con un progetto audiovisivo inedito, dal titolo “The Naked Truth”.

Operazioni queste che la dicono lunga anche riguardo al progetto espositivo della mostra.

L’impressione che si ha attraversando le sale è quella di compiere un percorso introspettivo all’interno del mondo di questi artisti, alla ricerca di quell’ideale estetico che prende forma nei dipinti della Scuola, sfigurando, letteralmente, ogni canone.

A confermarlo sono i suoni di ambientazione e la musica di contesto che fanno da sottofondo alla voce narrante e accompagnano il visitatore tra una sala e l’altra. Sempre privilegiando la continuità alla rottura. Così come il ruolo dell’illuminazione all’interno degli spazi. Intimi, essenziali e accoglienti. Ogni punto di osservazione richiama il visitatore e sembra invogliarlo a sedere di fronte alle opere in cui spesso, tra l’altro, sono rappresentate persone sedute. O corpi adagiati su superfici. O corpi e superfici racchiusi tra rigide linee, che sono anche delle gabbie in cui Bacon vede costretto ciò che a lui è contemporaneo.

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Come l’uomo in Study for a Portrait (1952), il quale emette un urlo sordo, impossibile da ascoltare ma non da rappresentare, almeno non per Bacon.

Girl with a Kitten (1947) di L. Freud è invece l’opera che accoglie i visitatori, quasi a prepararli a ciò che verrà dopo. Si tratta di un’immagine tenera ma ambigua: non a caso sono proprio queste le sensazioni che prevalgono durante tutta la visita. Non deve stupire dunque se quella ragazza con i capelli elettrizzati, lo sguardo attonito e un gatto nella mano è stata scelta dalla curatrice, Elena Crippa, per “iniziare” le persone al percorso.

Quello che si snoda è poi un complesso sistema di significati che passa attraverso i volti, non sempre riconoscibili, dei personaggi ritratti da Bacon, come Seated Figure (1961) o After the Life Maskof William Blake (1955), opera quest’ultima avvolta in un velo a dir poco lugubre.  Significati che si perdono poi tra gli scorci urbani di Kossoff, fatti principalmente di grovigli inestricabili di linee, come Children’s Swimming Pool (1971), per poi riemergere dagli spessi strati di colore che stende Auerbach sulle proprie tele, come in Primrose Hill (1967–8) , opera questa che per essere apprezzata richiede uno sforzo interpretativo notevole, nonché una corretta collocazione dello spettatore nello spazio.

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Straordinario quindi è il modo in cui la mostra riesce ad avvicinare il visitatore non tanto alla vita degli artisti, ma anche e soprattutto al loro punto di vista: il racconto infatti si sviluppa su piani differenti senza privilegiarne realmente uno. Non a caso le biografie si intrecciano ai fatti storici, agli aneddoti bizzarri, alla descrizione delle tecniche artistiche e alle storie relative ai personaggi raffigurati nelle opere.

Una narrazione dunque alla quale ci si deve affidare completamente, in ascolto attivo con ciò viene proposto. Un’occasione da non perdere per coloro che ancora non hanno avuto il piacere di visitare la mostra: restano solo pochi giorni prima che le opere facciano ritorno alla TATE!

Quello che l’esperienza di visita lascia va di gran lunga al di là dell’appagamento estetico per questo o quel capolavoro: ci si ritrova ad essere noi stessi distorti, immersi in uno spazio che comincia a sembrare scomodo.

Sarà forse questa la difficoltà del ritrarsi “senza filtri”, come la mostra invita provocatoriamente a fare una volta tornati alla realtà?

“Quello che voglio fare è distorcere la cosa ben oltre l’apparenza,

ma,

nella distorsione, restituirla come un documento dell’apparenza”

F. Bacon

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