Paul Cézanne: “Trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono”

di Laura Corchia

“La tesi da sviluppare è, qualunque sia il nostro temperamento o capacità di fronte alla natura, riprodurre ciò che vediamo, dimenticando tutto quello che c’è stato prima di noi. Il che, penso, permette all’artista di esprimere tutta la sua personalità, grande o piccola”

(Paul Cézanne)

Il successo bussò tardi alla sua porta, quando ormai gran parte della sua carriera artistica era compiuta. Ma Paul Cézanne non visse mai nell’indigenza, come come invece accadde ai suoi amici e colleghi impressionisti.

Nato ad Aix-en-Provence il 19 gennaio 1839, era figlio del proprietario di una fabbrica di cappelli e di un’operaia della stessa fabbrica. Le condizioni agiate della famiglia gli consentirono di frequentare le migliori scuole: studiò al collegio Bourbon dove ebbe compagno il grande scrittore Émile Zola. Ne nacque una profonda amicizia destinata a durare per moltissimi anni. Lo stesso scrittore ricorda quell’amicizia di adolescenti intellettuali: «Avevamo libri in tasca e nelle borse. Per un anno, Victor Hugo regnò su di noi come un monarca assoluto. Ci aveva conquistato con le sue forti andature di gigante, ci rapiva con la sua retorica potente». E dalla passione per Victor Hugo passarono a quella per Alfred de Musset: «Musset ci sedusse con la sua spavalderia di monello di genio. I Racconti d’Italia e di Spagna ci trasportarono in un romanticismo beffardo, che ci riposò, senza che ce ne rendessimo conto, del convinto romanticismo di Victor Hugo».

Il buffet, 1873
Il buffet, 1873

Dopo il collegio frequentò la Scuola di Belle Arti della città città natale e negli anni Sessanta, vincendo le opposizioni del padre, riuscì a trasferirsi a Parigi, dove entrò in contatto con gli Impressionisti.

L’esperienza impressionista gli servì per imparare a dipingere en plen air e per imprimere alle sue opere quella luminosità dei colori tipica dello stile. Il risultato più alto di questa esperienza, è La casa dell’impiccato a Auvers: dove, secondo Venturi, «Lo spazio non è più amorfo, ma la vibrazione luminosa, ottenuta nonostante il consueto spessore della materia, lo rende quasi compatto, come una massa che però non ha pesantezza, ma corposità, data la finezza dei passaggi. È la luce che crea questa sintesi tra volume e spazio, una sintesi che dà alle cose […] il senso della loro ‘durata reale’, del ripercuotersi nella coscienza. Cézanne ha fuso il suo concetto di monumentalità […] con il desiderio di struttura appreso da Pissarro e naturalmente va oltre, perché non si contenta di una dimensione puramente ottica delle sue immagini, ma è già in cerca di una dimensione emotiva della forma».

La casa dell'impiccato, 1872-73
La casa dell’impiccato, 1872-73

La sua ricerca fu però tutta orientata alla verità essenziale delle cose. Instancabile sperimentatore, piombava in uno stato di profonda frustrazione quando non riusciva ad ottenere quella perfezione tanto agognata. Racconta a tal proposito Jean Renoir: «Un giorno mentre [il padre] dipingeva nella campagna di Aix con Cézanne, qusti fu preso da un bisogno impellente e andò dietro una roccia, portando con sé un acquerello che aveva appena terminato. Renoir gli corse dietro e gli strappò il quadro dalle mani, rifiutandosi di restituirlo finché Cézanne non gli ebbe promesso che non lo avrebbe distrutto».

Hortense Fiquet, 1877
Hortense Fiquet, 1877

L’insoddisfazione per ciò che realizzava è evidente in una lettera del 1906 scritta all’amico pittore Bernard: «Raggiungerò lo scopo tanto cercato, e per tanto inseguito? Lo spero, ma poiché non l’ho raggiunto, mi pervade un vago stato di malessere, che sparirà solo quando avrò raggiunto il posto, cioè quando avrò realizzato qualcosa che si sviluppi meglio che in passato e nello stesso tempo dimostri le mie teorie. Queste sono sempre facili, è il provarle quello che dimostra serie difficoltà. Continuo dunque i miei studi».

Cézanne dipinse molti autoritratti e ritratti, chiedendo ai suoi modelli di stare fermi per ore ed ore. Significativa, a tal proposito, è la testimonianza di Ambroise Vollard, il suo mercante, che riferì di aver posato per il suo ritratto ben 115 volte dalle 8 del mattino alle 11.30: tra una pennellata e l’altra potevano passare anche venti minuti: «Chi non l’ha visto dipingere può a fatica immaginare fino a che punto, in certi giorni, il suo lavoro fosse lento e penoso. Nel mio ritratto ci sono, sulla mano, due punti in cui la tela è scoperta. Lo feci notare a Cézanne, che mi rispose: “Se la mia seduta al Louvre, fra poco, avrà buon esito, forse domani troverò il modo giusto di coprire questi spazi bianchi. Cercate di capire, … se intervenissi qui a caso, sarei costretto a ricominciare tutto il quadro a partire da questo punto». 

Cézanne amava molto eseguire disegni preliminari e acquerelli: la geometria dell’insieme era definita attraverso delle linee tracciate a matita e poi ricoperte di vari strati di trasparenze colorate. Lasciava bianco il foglio nei punti colpiti dalla luce diretta e le masse erano indicate attraverso l’uso del solo colore. Secondo l’artista: «nella pittura ci sono solo due cose: l’occhio e il cervello, ed entrambe devono aiutarsi tra loro».

I giocatori di carte, 1894
I giocatori di carte, 1894

Tutte le cose sono permeate dalla geometria e possono essere ricondotte alle forme essenziali di sfera, cilindro e cono. Nasce così, nel 1988, uno dei capolavori dell’artista: i giocatori di carte. L’opera ritrae due uomini seduti al tavolino di un’osteria che stanno giocando a carte. Le figure sono rese attraverso volumi puri, solidi geometrici: la calotta sferica del cappello, le maniche tronco-coniche, i parallelepipedi che generano il tavolino, la tovaglia rigida.

 

Negli ultimi anni della sua vita, Cézanne concentrò la sua attenzione nell’ossessiva raffigurazione della montagna Sainte-Victoire. La dipinse ogni volta da una prospettiva lievemente diversa, con soluzioni tecniche differenti. Proprio questa serie rappresentò un modello per le successive generazioni, al punto che i cubisti elessero Cézanne come loro padre e ispiratore.

La montagna Sainte-Victoire
La montagna Sainte-Victoire

Il lavoro fu per lui l’unica ragione di vita. Il 15 ottobre 1906 fu colto da un violento temporale mentre dipingeva en plen air. Riportato a casa da un contadino su un carretto scoperto, semincosciente e in preda a violenta polmonite, morì pochi giorni dopo senza aver potuto riprendere i pennelli in mano.

 

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