Il limone nell’arte: simbolo di salvezza e di fedeltà d’amore

Di Laura Corchia

Secondo alcuni eruditi greci i limoni sarebbero stati prodotti dalla Terra in onore delle nozze di Giove e Giunone; per il loro color oro sarebbero da identificare con i famosi pomi d’oro custoditi dalle Esperidi nel loro mitico giardino.

Alcune abitazioni di Pompei recano i muri decorati con piante di limone, testimonianza che già all’epoca erano conosciute, anche se la sua diffusione in Italia si deve soprattutto agli arabi e alle conquiste delle crociate.

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La tradizione cristiana associa l’immagine della pianta di limone a quella della Vergine Maria, in quanto questo frutto ha un dolce profumo, aspetto gradevole ed è ricco di numerose proprietà curative. Secondo alcuni è un potente antidoto contro i veleni e, pertanto, significa salvezza.

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Con tale accezione è presente in diverse raffigurazioni dell’Ultima Cena, come quella dipinta da Domenico Ghirlandaio nel refettorio del convento di San Marco a Venezia. Oltre ai limoni, raffigurati sullo sfondo, compaiono qui altri simboli: le ciliege, che significano redenzione dell’uomo che avviene tramite in sangue di Cristo, il pavone, che ogni anno perde le penne e le riacquista in primavera, simbolo dunque di rinascita spirituale e di redenzione, gli uccelli, immagini dell’anima umana che abbandona il corpo al momento della morte.

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Il limone è anche simbolo di fedeltà amorosa, per la sua proprietà di produrre frutti durante tutto l’anno.

Questo significato è ben illustrato nella Scena Mitologica dipinta da Dosso Dossi nel 1524. In un lussureggiante bosco, si vede una giovane distesa in primo piano su un letto di fiori. Si tratta probabilmente di Eco, la ninfa respinta da Narciso. Sotto l’albero di limoni siede Pan, dio dei boschi e dei pastori, con in mano la siringa (suo attributo). I putti in alto sarebbero riferibili all’antica iconografia degli eroti greci, già presenti nella pittura pompeiana. ll paesaggio idilliaco, che sfuma in lontananza in toni azzurrini per effetto della foschia, è un omaggio a Giorgione, primo maestro del Dossi. A parte l’interpretazione letteraria o mitologica, il dipinto spicca per la freschezza e ricchezza della composizione, la bellezza dei singoli soggetti (in particolare della fanciulla sdraiata, omaggio alle Venere dormiente di Giorgione), i colori smaglianti e la carica vitale delle figure. Indizi indicano che il dipinto è stato tagliato di circa 15 centimetri sulla sinistra, magari per adattarlo alla forma di una cornice: in alto a sinistra infatti spunta il braccio di un sesto putto. Le radiografie inoltre hanno rivelato un uomo nascosto nella parte inferiore a sinistra del paesaggio e diversi pentimenti, tra cui un’armatura e una spada appesi all’albero, un violoncello vicino alla donna dallo scialle rosso e lo sguardo diretto verso il basso della donna anziana.

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