“Mio caro Vincent, la vita è davvero lunga e triste”: la lettera di Gauguin a Van Gogh

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Le lettere tra Paul Gauguin, Vincent Van Gogh e il fratello Theo sono la testimonianza di una forte amicizia. I due artisti sperimentarono anche una breve e travagliata convivenza alla fine del 1888, complicata dall’aggravarsi della malattia mentale di Van Gogh e culminata con l’automutilazione dell’orecchio alla vigilia di Natale.

Mio caro Vincent
la vita è davvero lunga e triste. Dalla vostra ultima lettera sono stato così male che non potevo scrivere: di gior­no aspettavo che venisse sera e di notte desideravo il mattino. Una volta arata la terra, l’uomo getta il seme e, com­battendo ogni giorno contro le intemperie, riesce a fare il raccolto. Ma noi poveri artisti? Dove va a finire il grano che piantiamo, e quando mai viene il momento del raccolto? Da tre mesi che sono al Pouldu mi sono entrati 30 franchi in saccoccia; decisamente ho un bel mettercela tutta: non posso continuare a dipingere.
Oltre al guaio della mancanza di denaro, ho altri motivi di dolore. Ho rischiato di perdere un figlio, che è caduto dal terzo piano sulla strada. Come potete immaginare, a Copenaghen la casa è stata messa in subbuglio e le spese fatte per questo incidente hanno portato lo scompiglio (scompiglio al quale non posso porre rimedio in questo momento). Tutto ciò mi fa morire di struggimento e non oso né dipingere né scrivere. E perché dipingere?
Mi piacciono molto i due disegni che mi avete mandato, soprattutto quello delle donne che raccolgono le olive.
Mi fa piacere che abbiate esposto a Bruxelles: avete no­tizie della mostra?
Mettetemene a parte.
In questo momento da voi è inverno come qui e io so che per voi questo è un brutto periodo da attraversare. Di sicuro starete aspettando con impazienza il caldo per poter lavorare all’aperto.
In questi giorni sto facendo il possibile per andare in Tonchino a spese del governo, ma non è facile, soprattutto perché sono un artista e agli artisti non si dà il mi­nimo credito in quanto ad abilità negli affari.
Nelle colonie c’è da fare per noi occidentali, e io spero di impararvi cose nuove in arte, essendo al contempo alleviato dalle preoccupazioni di denaro.
De Haan lavora sempre qui con me e fa seri progressi, ma non intende tornare in Olanda se non quando si sentirà abbastanza sicuro da rispondere per le rime ai suoi compatrioti, che gliene diranno di tutti i colori per via della sua trasformazione. Le recenti questioni sul co­lore l’avevano assai tormentato ma oggi che comincia a veder chiaro in quella nuova via è pieno d’ardore.
Scusate il ritardo nella corrispondenza e credetemi
sempre vostro, cordialmente
Paul Gauguin

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