Ematite, carbone e bianco d’ossa: ai primordi dell’arte

di Laura Corchia

Per trovare le prime tracce di uso dei pigmenti da parte dell’uomo, dobbiamo tornare indietro nel tempo di circa 300.000 anni.

Nelle caverne Twin Rivers gli scavi archeologici hanno svelato mucchietti di pigmenti conservati in una nicchia che fungeva da magazzino. Si tratta si ossido di ferro (ematite rossa), ossido idrato di ferro (ocra giallo), carbone e biossido di manganese. Se gli ossidi provenivano dai terreni circostanti, il nero era un derivato diretto dell’uso del fuoco ed era ricavato dal carbone. L’assenza di decorazioni sulle pareti delle caverne fa pensare che i pigmenti fossero usati per colorare il corpo. Autore della scoperta e sostenitore di uno stretto legame tra impiego del colore per scopi rituali e il linguaggio parlato, è Lawrence Barham, dell’ università di Liverpool, Inghilterra. Da anni l’ archeologo scavava nella caverna di Twin Rivers e nel 2000 rinvenne oltre trecento frammenti di ocra di diversi colori: rosso, giallo, marrone, rosa, blu scuro e un rosso violaceo che al buio emette una leggera fluorescenza. Nove di questi «pastelli» mostrano fitte striature sulla superficie, segno evidente che furono utilizzati per dipingere o sfregati su una superficie ruvida per ottenere polveri colorate. Barham ritiene che i colori siano stati impiegati dagli antichi abitanti per decorarsi il corpo in occasione di particolari rituali, come accade ancora oggi presso diverse popolazioni tribali. «Se mettiamo in relazione i colori ritrovati con le attività del gruppo – sostiene l’ archeologo inglese -, è facile capire come il linguaggio entri a fa parte dell’ equazione. I rituali, come quelli collegati alla caccia o ai passaggi d’ età degli individui, sono espressione di un sentire comune, hanno un senso riconosciuto dall’ intero gruppo umano che condivide valori e regole comuni. Questo presuppone una solida rete di relazioni e un fitto scambio di informazioni tra gli individui; condizioni che non possono realizzarsi se non esiste il linguaggio parlato. E’ anche evidente che la pratica della pittura corporale è uno strumento fondamentale per l’ affermazione dell’ identità personale o dell’ appartenenza a un gruppo».

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Anche per l’uomo di Neandertal esistono evidenze dello sviluppo di decorazione corporea. Lo dimostra la conchiglia colorata artificialmente trovata a Cueva Anton. Decorata con un colore rosso-arancio, reca due fori che servivano per appenderla al collo come un gioiello.

Anche i calchi della mano ritrovati a Pech-Merle e nelle Cuevas de las Manos in Argentina dimostrano che il colore più utilizzato era il rosso ricavato dell’ematite (ossido di ferro).

Per parlare di artisti-pittori si dovrà attendere il Paleolitico superiore, tra 35.000 e 10.000 anni fa. I dipinti delle grotte di Chauvet e quelli delle grotte di Lascaux e Altamira mostrano infatti delle rappresentazioni figurative. L’ Arte del Paleolitico è una finestra su un mondo perduto. Ci mostra gli animali preistorici , nel caso specifico le Faune Pleistoceniche , con gli occhi di chi li videro nella loro quotidianità .

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“Da Altamira in poi tutto è decadenza ” diceva Pablo Picasso e ” nessuno di noi è in grado di dipingere così bene” . In effetti, guardando l’ arte della Preistoria con i nostri occhi moderni, riusciamo a scorgere tutte le caratteristiche che fanno dell’ Arte della Preistoria un’ arte… contemporanea : gli animali sono perfettamente riconoscibili , trasmettono forza , energia , vitalità , spesso sono state sfruttate le sporgenze delle rocce per renderli tridimensionali , alcune figure sono enormi. Gli animali possono essere descritti con poche linee essenziali, a volte diventano astratti e spesso sono accompagnati da simboli , pittogrammi , a cui non sappiamo più dare un significato. Ma le immagini sono anche molto misteriose e come gli animali estinti che spesso hanno ritratto, l’ unica cosa che sappiamo è ciò che riusciamo vedere in apparenza. Poi c’è tutto un mondo segreto , legato ai simboli , alla comunicazione più profonda che non riusciamo più a capire: non sappiamo esattamente cosa queste immagini volessero comunicare.

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La conservazione eccezionale dell’ arte paleolitica dell’ area Franco-Cantabrica , la si deve ad una serie di fattori fortunati di carattere geologico e climatico che hanno sigillato le grotte con l’ accumulo di detriti e pietrisco che ne hanno ostruito gli ingressi alla fine del Pleistocene, mantenendo all’ interno condizioni stabili di temperatura e di umidità. Di conseguenza solo nell’ Europa Occidentale è possibile avere un panorama abbastanza completo e articolato dell’ arte preistorica. Gli uomini che hanno concepito questi capolavori erano prevalentemente nomadi, vivevano di caccia, pesca e raccolta . Dipendevano in tutto e per tutto dalla natura e dagli animali, anche per le costruzioni delle loro abitazioni che erano semplici capanne costruite con pelli , ossa di animali , frasche. I pigmenti più utilizzati erano: ocra gialla, ematite rossa e carbone.

Nel Neolitico (10.000-5000 a.C.) si aggiunse un nuovo pigmento: il bianco d’ossa. Si otteneva facendo essiccare le ossa degli animali domestici. La comparsa di questo colore è legata alla nascita della pastorizia e alla pratica di addomesticare le bestie. Tutti i membri del villaggio praticavano le arti, la scultura, la pittura e concorrevano alla costruzione del villaggio.
Risalgono a questo periodo i primi oggetti in argilla, gli utensili domestici e soprattutto vasi ed anfore, decorati con animali e figure umane stilizzate.

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