Yves Klein: ‘Nel blu dipinto di blu’

Di Laura Corchia

“Per me i colori sono degli esseri viventi, degli individui molto evoluti che si integrano con noi e con tutto il mondo. I colori sono i veri abitanti dello spazio”.
(Yves Klein)

Pur essendo figlio d’arte, Yves Klein (1928-1962) è praticamente autodidatta. Formatosi a Nizza con la compagnia dello scultore Arman e del poeta Claude Pascal, si interessò alle teorie cosmogoniche e filosofiche del movimento dei “rosa + croce” e alle filosofie orientali.

 

Klein & A Blue Sponge

Nell’appartamento di Arman, il gruppo si riuniva in una stanza dipinta di blu per leggere pagine di letteratura alchemica, ascoltare musica jazz, meditare, sognare di partire per il Giappone sul dorso di un cavallo. Una volta, si narra, salirono su un tetto e si spartirono il mondo: Klein prese per sé il cielo e, da allora, scelse il “blu” come colore predominante di tutte le sue opere e performance artistiche. Nel 1947 propose la prima “sinfonia monocroma”, cioè di un “enorme suono continuo seguito da un silenzio altrettanto enorme ed esteso, fornito di dimensioni illimitate”.

Partito per il Giappone, dove divenne maestro di Judo, cominciò a trasporre sulla tela le sue idee, brevettando una certa tonalità di blu definita IKB (International Klein Blu): una mistura di pigmento e resina che consentiva al colore oltremare di rimanere vibrante come quando è sotto forma di polvere. A quanti gli chiedevano come mai dipingesse soltanto monocromi blu, Klein rispondeva con un antico racconto persiano: “Un giorno un flautista prese a suonare una nota unica, continua, ininterrotta. Dopo avere così fatto per 20 anni, sua moglie gli fece notare che gli altri flautisti producevano diversi suoni, persino melodie. Ma il flautista replicò che non era colpa sua se egli aveva trovato la nota che tutti gli altri stavano ancora cercando“. Il suo azzurro, come ha scritto Restany, “rappresenta per lui la rivelazione; è il supporto di rivelazioni non racchiudibili in formule, il veicolo di grandi emozioni, l’immagine captata del firmamento e della intimità del mondo, il ricordo di questa dimensione immateriale dell’universo”. “Raimond Hains”, ricorda ancora Restany, “era solito dire che Yves viveva nel meraviglioso”.

Dopo aver fondato il movimento del Nouveau Réalisme, nel 1958 l’artista organizzò la sua esposizione più memorabile Le Vide (il vuoto): la stanza, completamente vuota, ospitava soltanto la sensibilità dell’artista allo stato puro. Come qualche anno più tardi farà Piero Manzoni con la sua “Merda d’artista” (1961), era possibile acquistare la “sensibilità” sotto forma di certificati, pagandola in oro. Inoltre, a ciascun visitatore veniva offerto un cocktail blu, che avrebbe colorato la sua urina per circa una settimana.

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In seguito, diede avvio alle sue Antropometrie: usò come pennelli viventi alcune modelle cosparse di colore blu e fatte rotolare sulla tela. Seno, ventre e cosce sono così impressi sul supporto. Queste impronte erano definite da Klein “tracce di vita”. Un’altra tecnica simile era quella delle Registrazionidi pioggia che realizzava guidando nella pioggia a 70 miglia all’ora, con una tela legata sul tetto dell’auto, oppure accostando la tela al tubo di scappamento del veicolo per dipingerle con i fumi. Inoltre, giunse a dipingere la pioggia in blu: il pigmento puro era polverizzato in emulsione densa nell’aria. Le gocce d’acqua così impregnate descrivevano, arrivando al suolo, la loro immagine colorata su una tela disposta in piano per terra.

Yves Klein, "Antropometrie"

Pare che alla pittura monocroma di Klein si fosse ispirato Domenico Modugno per il celebre brano“Volare”, che invitava a librarsi “nel blu dipinto di blu”. E difatti, una sua fotografia, Saut dans le vide(Salto nel Vuoto), lo mostra mentre apparentemente salta giù da un muro, con le braccia tese al pavimento. Klein usò la fotografia per dimostrare il suo “volo lunare”, che spesso menzionava. “Saut dans le vide” venne pubblicata come parte di un attacco portato da Klein alla NASA, che avrebbe dovuto dimostrare che le spedizioni lunari erano hybris e follia.

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Yves Klein, "Le vide"

Nel 1962, sposò a Parigi Rotraut Uecker. Morì il 6 giugno dello stesso anno per un attacco cardiaco, mentre la moglie aspettava il primo figlio.

Poca dell’arte di Klein si è potuta fermare, impigliare in una tela, in una scultura, in una traccia-sindone; tanta della sua arte è stata effimera, come effimero è il teatro. Le sue conferenze sono state happening, i suoi vernissage sono stati spettacoli. La sua arte è fatta di aforismi, di intuizioni racchiuse in uno spezzone di film, in uno scatto fotografico.

“Vivere un rituale è vivere la vita. Nell’opera di Klein, gli elementi dell’universo, la vita, sono afferrati nella loro essenza, all’origine. L’aria, il fuoco, l’acqua, i pigmenti, la terra… la sua opera si colloca nella prospettiva della riconciliazione semantica dell’apparenza e del reale dell’essenza e della personalità, tanto più importante in quanto è una breccia nella materialità storica del XX secolo, lontano da Freud e da Marx, annuncia, forse, una spiritualità nuova, di là da venire”. (JeanYves Mock)

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