Tiziano Vecellio: il pittore dal tratto divino

di Laura Corchia

“ […] Tizian ch’onora non men Cador, che quei Venezia e Urbino.”

(Ludovico Ariosto, Orlando furioso, 1532)

Tiziano Vecellio fu per tanti artisti una sorta di stella polare. Da Delacroix a Renoir, moltissimi cercarono in lui ispirazione.

Nacque tra il 1480 e il 1485 a Pieve di Cadore, un paesino situato ai confini estremi del dominio della Serenissima. All’età di vent’anni, lasciò la famiglia e si stabilì a Venezia, una delle città più popolate d’Europa e la regina incontrastata dei commerci marittimi nel Mediterraneo.

Dal punto di vista artistico, la città lagunare era al centro di un notevole fermento e si era arricchita di palazzi rinascimentali attraverso l’attività di Mauro Codussi e di Pietro Lombardo.

La formazione di Tiziano si giovò di diverse influenze: Leonardo giunse a Venezia nel 1500, Dürer qualche anno più tardi. Inoltre, importanti e fondamentali stimoli vennero dai maestri veneziani: Carpaccio, i fratelli Bellini, Giorgione.

iziano Vecellio, Amor sacro e Amor profano, particolare, 1514
Tiziano Vecellio, Amor sacro e Amor profano, particolare, 1514

Fin dagli esordi, Tiziano dimostrò una tecnica pittorica matura, tanto da aggiudicarsi la decorazione della facciata di terra del Fondaco dei Tedeschi, la prima opera ufficiale affidatagli dalla Serenissima e realizzata tra il 1507 ed il 1508. A partire da tale importante commissione, la sua carriera fu costellata di successi, al punto da rifiutare l’invito del Bembo a trasferirsi presso la corte di papa Leone X.

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I suoi danarosi ed esigenti committenti gli chiedevano opere dai complessi significati ideologici e Il Concerto campestre (1509-1510), le Tre età (1512-1513), Amor sacro e amor profano(1514-1515) sono solo un esempio delle svariate opere in cui si intrecciano complicati rimandi alla musica, alla mitologia, alla filosofia, alla politica ed alla religione.

Oltre alla committenza laica, Tiziano poté contare sul sostegno della chiesa. Nel 1516, con la richiesta di eseguire la pala dell’Assunta, Tiziano sancì il suo trionfo e si guadagnò successivamente anche la fiducia del doge Andrea Gritti. Proprio questi gli affidò l’esecuzione di numerosi dipinti aulici ed eroici.

Tiziano Vecellio, Assunzione della Vergine, 1516
Tiziano Vecellio, Assunzione della Vergine, 1516

Tuttavia, a partire dal 1550, il dominio artistico del Vecellio cominciò un declino a causa dell’affermarsi di un nuovo astro nascente: Jacopo Tintoretto. Le ultime opere di Tiziano videro un cambiamento dello stile: il virtuoso colorismo tipico dei veneti lasciò spazio ad una pittura fatta di rapide pennellate. Rappresentativa di questo periodo è la celebre opera con Apollo che scortica Marsia.

Ritenuta unanimemente tra i capolavori dell’autore, rappresenta sulla tela il mito del supplizio di Marsia, il sileno che osò sfidare Apollo. Si tratta di un’opera nella quale il dolore di Marsia, scorticato vivo, viene trasposto direttamente nello stile scelto per rappresentare la scena: il pennello stesso strappa e scortica ogni superficie rappresentata, che sia pelle umana, erba o facciate di edifici.

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Tiziano Vecellio, Scorticamento di Marsia, 1575
Tiziano Vecellio, Scorticamento di Marsia, 1575

Ritenuto unanimemente tra i capolavori dell’autore, rappresenta il mito del supplizio di Marsia, il sileno che osò sfidare Apollo. Si tratta di un’opera cruda e impattante, nella quale il dolore di Marsia, scorticato vivo, viene trasposto direttamente nello stile scelto per rappresentare la scena: il pennello stesso strappa e scortica ogni superficie rappresentata, che sia pelle umana, erba o facciate di edifici.

 

Il 27 agosto 1576 Tiziano, colpito dalla peste, si spense a Venezia. In una lettera datata 1544, Pietro Aretino scrisse:

“Appoggiate le braccia in sul piano della cornice della finestra, […] mi diedi a riguardare il mirabile spettacolo che facevano le barche infinite, le quali piene non men di forestieri che di terrazzani, ricreavano non pure i riguardanti ma esso Canal Grande, ricreatore di ciascun che li solca […].

E mentre queste turbe e quelle con lieto applauso se ne andavano a le sue vie, ecco ch’io, quasi uomo che fatto noioso a se stesso non sa che farsi della mente non che dei pensieri, rivolgo gli occhi al cielo; il quale da che Iddio lo creò, non fu mai abbellito da così vaga pittura di ombre e di lumi. Onde l’aria era tale quale vorrebbero esprimerla coloro che hanno invidia a voi [Tiziano] per non poter essere voi. Che vedete, nel raccontarlo io, in prima i casamenti, che benchè sien pietre vere, parevano di materia artificiata.

E dipoi scorgete l’aria, ch’io compresi in alcun luogo pura e viva, in altra parte torbida e smorta. Considerate anco la meraviglia ch’io ebbi dei nuvoli composti d’umidità condensa; i quali in la principal veduta mezzi si stavano vicini ai tetti degli edificii, e mezzi nella penultima, perochè la diritta era tutta d’uno sfumato pendente in bigio nero.

Mi stupii certo del color vario di cui essi si dimostrarono: i più vicini ardevano con le fiamme del foco solare; e i più lontani rosseggiavano d’uno ardore di minio non così bene acceso. Oh con che belle tratteggiature i pennelli naturali spingevano l’aria in là, discostandola dai palazzi con il modo che il Vecellio nel far dei paesi!

Appariva in certi lati un verde-azzurro, e in alcuni altri un azzurro-verde veramente composto dalle bizzarrie de la natura, maestra dei maestri. Ella con i chiari e con gli scuri sfondava e rilevava in maniera ciò che le pareva di rilevare e di sfondare, che io, che so come il vostro pennello è spirito dei suoi spiriti, e tre e quattro volte esclamai: Oh Tiziano, dove sète mo?”

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