Tesori di Napoli: il Museo nazionale di Capodimonte

di Fabio Strazzullo

Il museo è ospitato nell’omonima reggia della collina di Capodimonte, voluta dal re Carlo III di Borbone, che salito al trono di Napoli nel 1734, decise di trasferirne l’intera collezione Farnese, ereditata dalla madre Elisabetta (ultima discendente della famiglia Farnese). Nel 1735, le raccolte sono imballate e spedite dal porto di Genova a Napoli e stipate in un primo momento al pianoterra e al piano nobile di Palazzo Reale. Fin dal suo arrivo a Napoli, il re decide di costruire una reggia, in parte adibita a residenza di caccia e in parte a luogo espositivo della collezione. A pochi mesi dalla posa della prima pietra del Palazzo Reale di Capodimonte, nel settembre 1738, sotto la direzione dell’ingegnere Giovanni Antonio Medrano (1703-1760), una commissione di esperti si occupa di definire all’interno della vasta costruzione progettata a pianta rettangolare, con tre grandi cortili interni, la disposizione degli ambienti.

01. Reggia di Capodimonte

Le sale orientate a sud, verso il mare, sono destinate all’esposizione dei dipinti; quelle verso il giardino, più interne, alla biblioteca. Soltanto nel 1758 le opere farnesiane vengono esposte nei dodici grandi cameroni ultimati al Piano Nobile del palazzo, con una distinzione delle sale per singoli artisti di fama, intorno ai quali si raggruppano le relative scuole pittoriche. Tra i vari visitatori si possono annoverare il celebre Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) e Antonio Canova (1714-1794). Tuttavia nonostante il fascino che suscitava, il palazzo subisce dei continui ritardi per problemi di natura tecnica ed economica, soprattutto per l’affievolirsi dell’interesse del giovane sovrano, molto più attratto dai lavori, da poco avviati, per la costruzione della reggia di Caserta, progettata da Luigi Vanvitelli (1700-1773). Alla fine del settimo decennio del Settecento sono completate, con l’intervento dell’architetto Ferdinando Fuga (1699-1782) le stanze del secondo cortile verso nord, raccordate al corpo di fabbrica già esistente da due lunghi saloni destinati, nel corso dell’Ottocento, ad ambienti di rappresentanza. La quadreria farnesiana occupa anche questi nuovi spazi, fino a raggiungere l’estensione di ben ventiquattro sale di cui parlano i viaggiatori degli ultimi anni del secolo. A fine secolo la galleria risulta composta da circa milleottocento dipinti, finché nel 1799, le truppe francesi irrompono in città, saccheggiando ogni cosa che gli si para davanti e Ferdinando, figlio e successore di Carlo III di Borbone, temendo il peggio, aveva messo in salvo a Palermo già l’anno prima, diversi capolavori tra i più importanti della galleria. I commissari governativi francesi prelevarono trenta quadri destinati alla Repubblica, ma le truppe depredarono più di trecento dipinti che finiranno poi, in buona parte, sul mercato romano. Solo pochi potranno essere recuperati a partire dal 1800, grazie all’ attenta opera di ricognizione di Domenico Venuti, su incarico del re che nel frattempo era ritornato sul trono di Napoli. Tuttavia ha inizio un rapido e progressivo declino di Capodimonte nel corso della prima metà dell’Ottocento, poiché l’interesse dei Borbone per la reggia viene completamente a precipitare. Non tornano più le opere recuperate da Venuti nei depositi francesi a Roma, né quelle che, su esplicito incarico del sovrano, egli acquista sul mercato per rinfoltire le collezioni reali e colmarne le lacune.

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Palazzo di Francavilla

Alla fine si preferisce la nuova sede espositiva della galleria del palazzo di Francavilla, al centro della città. La breve stagione dei francesi sul trono napoletano, dal 1806, a seguito delle campagne napoleoniche, segna per molti aspetti una parentesi nuova per Capodimonte, poiché Giuseppe Bonaparte (1768-1844) e successivamente Gioacchino Murat (1767-1815) riprendono con vigore l’antico e ambizioso progetto borbonico di riunificare le collezioni in un unico museo al Palazzo degli Studi, ovvero al Museo Archeologico Nazionale, ampliandone l’estensione e trasferendone le opere all’interno delle sue sale; ma si dedicano con uguale determinazione alla reggia di Capodimonte (momentaneamente compiuta solo per due terzi circa) accentuandone l’aspetto residenziale. Nel 1809, si progetta un ponte al di sopra del vallone della Sanità e una lunga strada nominata Corso Napoleone (attuale Corso Amedeo di Savoia) che congiunge la zona collinare al cuore della città. Il ritorno sul trono dei Borbone, a seguito della Restaurazione, accelera, inoltre il trasferimento delle collezioni al Palazzo degli Studi liberando così il Piano Nobile della reggia.

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03. museo archeologico napoli

Di fatto l’istituzione del Real Museo Borbonico al palazzo degli Studi scoraggia ogni ambizione museale per Capodimonte, affidandogli sempre più una funzione eminentemente abitativa e di rappresentanza. Ferdinando II (1810-1859), succeduto al trono nel 1830, riprende finalmente l’iniziativa di concludere una volta per tutte l’intero edificio, affidandone il progetto agli architetti Antonio Niccolini (1772- 1850) e Tommaso Giordano, ormai a quasi un secolo dalla posa della prima pietra. Un cambiamento sostanziale avverrà dopo il 1860, con l’Unità d’Italia e il passaggio alla dinastia dei Savoia, la reggia acquista una sua fruibilità museale, ma continuando a conservare la funzione di dimora. Sul finire del primo decennio, la dimora verrà assegnata alla famiglia del duca di Aosta (ramo cadetto di casa Savoia) che vi risiederà più o meno stabilmente fino al secondo dopoguerra, nonostante il passaggio dell’edificio dalla Corona al demanio nazionale, nel 1920. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il soprintendente alle Gallerie Bruno Molajoli (1905-1985) organizza le operazioni di trasferimento delle opere d’arte cittadine in depositi allestiti nel territorio della regione. È in questi anni del primo dopoguerra che vede la luce il nuovo, ambizioso progetto di una sede museale adeguata per dipinti e oggetti di epoca medievale e moderna, da collocare nel palazzo di Capodimonte. Progetto che inizierà nel 1952 e si concluderà nel 1957, ma nonostante desse l’idea di un museo finito, già alla metà degli anni Settanta, mal celava pecche e disfunzioni che finirono per aggravarsi col terremoto dell’Irpinia nel 1980 e portarono ad una chiusura parziale del museo, che riaprì interamente solo nel 1999. Oggi, all’interno del museo di Capodimonte è ospitata una raccolta che esprime a pieno l’eclettismo artistico cittadino, una collezione unica al mondo che copre oltre sette secoli di storia dell’arte. Da Masaccio (1401-1428) a Mantegna (1431-1506), passando da de Ribera (1591-1652) e Caravaggio (1571-1610) fino ad Andy Warhol (1928-1987) e Alberto Burri (1915-1995). I capolavori degli artisti campani da Luca Giordano (1634-1705) a Mimmo Paladino (1948) e quei manifesti Mele, figli del fermento operativo della Napoli della Belle Époque. Una raccolta unica nata intorno a quello che è considerato il gioiello della vastissima raccolta d’arte borbonica: La collezione Farnese.

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