Il restauro nel Medioevo: trasformazioni e modi d’uso delle immagini

Di Laura Corchia

Dopo la riforma gregoriana, in Occidente si afferma in maniera indiscussa il culto delle immagini. Le icone dipinte venivano trasformate per almeno tre motivi.

  1. Per riparare un danno: in questi casi, i rifacimenti erano piuttosto estesi perché per i pittori (non esisteva ancora la figura vera e propria del restauratore) era più facile rifare una parte intera che non limitarsi a un intervento localizzato.

È questo il caso della Croce di Sarzana (1138). Il carnato di Cristo è stato interamente rifatto, mentre l’iconografia del Cristo “trionfante” (risorto dopo la morte) è rimasta pressoché identica.

Un altro caso simile è rappresentato da un Crocifisso conservato al Museo Bardini di Fiesole e risalente al 1200. Il restauro, avvenuto nel Novecento, ha messo in evidenza la presenza di due ridipinture, una settecentesca e una addirittura duecentesca, effettuata per riparare al danno provocato da una bruciatura.

  1. Per necessità di carattere iconografico-iconologico: è il caso di un San Lucaconservato agli Uffizi. La figura indossava una veste seicentesca e aveva un’aria giovanile e barbuta. Il restauro ha fatto emergere una pittura risalente al 1200 attribuita al Maestro della Maddalena. Grazie alle tecniche radiografiche, che negli anni Trenta cominciavano ad essere impiegate, ha rilevato che in realtà il San Lucavenne ridipinto e trasformato in San Francesco.
  1. Per necessità di carattere stilistico: ne è un chiaro esempio la Maestà di Guido da Siena che, nella sua stesura originale, era molto bizantineggiante. Nel 1311 fu ridipinta secondo un gusto più gotico e le furono attribuiti tratti più dolci e morbidi, proprio perché considerata troppo arcaica.
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Va ricordato che, fino al rinnovamento di Cimabue, Duccio e Giotto, i pittori facevano riferimento a dei modelli iconografici molto diffusi e ripetuti all’infinito.

Connessa a questa problematica è una tavoletta raffigurante Sant’Agata conservata al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Agli inizi del Trecento, sul retro di questo dipinto venne effigiata un’altra Sant’Agata, iconograficamente esemplata sulla prima ma con uno stile post-giottesco e dunque più naturalistico.

Un altro caso di restauro medievale di grandissimo interesse è rappresentato da quello sulla Maestà di Simone Martini, effettuato dallo stesso artista. Il senese lavorò all’opera a due riprese: nel 1315 e poi nel 1321, per rifare parti danneggiate. Egli colse l’occasione di questa riparazione per aggiornare iconograficamente e stilisticamente il dipinto: il volto della Madonna, dall’arcaica frontalità, si inclinò leggermente. Alcune teste di santi furono aggiornate secondo l’imperante gusto gotico e, cosa ancora più interessante, furono eliminati alcuni “fumetti” che consentivano alla Vergine di dialogare con i Santi. In quegli anni, infatti, Siena cambiò governo e, dunque, fu necessario cambiare il significato politico dell’immagine. Inoltre, essendo mutato lo stile dell’artista, è probabile che egli abbia voluto dare un’impronta diversa a tutta la sua opera.

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Maestà, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1315-1321
Maestà, affresco, Palazzo Pubblico, Siena, 1315-1321

 

Un nuovo mutamento stilistico si registrò poi dopo la terribile peste nera del 1348. L’arte, che fino a quel momento era stata una continua sperimentazione, ebbe nuovamente un’impronta fortemente devozionale e quindi le opere sacre considerate estrose furono oggetto di revisione. Ne sono un esempio gli affreschi di Ambrogio Lorenzettinell’oratorio di Montesiepi: per riparare ai danni causati dall’umidità fu chiamato un pittore che, oltre a risanarli, rivisitò tutta l’iconografia, conferendo ai dipinti un carattere più devozionale. In epoca moderna si è tentato di riportare l’opera allo strato pittorico originario ma, durante il corso dei lavori, probabilmente i restauratori si resero conto che la pellicola sottostante era molto lacunosa e interruppero il lavoro.

Anche il Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti fu oggetto di due restauri: uno ha riguardato l’allegoria delle virtù del Buongoverno (attribuibile a Bartolo di Fredi) e uno ha interessato parte della campagna (opera di Pietro degli Orioli). Quest’ultima porzione ha evidenziato uno sforzo enorme del pittore per adattarsi allo stile del pittore, cosa abbastanza rara considerato che fino almeno all’Ottocento i rifacimenti seguivano lo stile del proprio tempo. Ciò si giustifica perché, a Siena, la grande stagione artistica che va da Duccio ai Lorenzetti era considerata un’epoca d’oro, un modello al quale conformarsi anche secoli dopo.

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Resta da indagare l’attività degli artisti come restauratori in senso stretto, ovvero come professionisti preposti alla sola manutenzione. Numerosi documenti d’archivio testimoniano che essi sovente intervenivano per riparare o sostituire delle parti danneggiate. Questo aspetto è molto importante perché separa la mentalità tecnica del restauratore dall’intenzione creativa dell’artista. Nel Cinquecento, il Granduca di Firenze affidò all’Accademia del Disegno di Vasari il compito di tutelare, conservare e restaurare i manufatti.

Una tipologia di Croci che merita sempre indagini approfondite è rappresenta da quelle di forma sagomata, affermatesi in epoca tardo-gotica e nel Quattrocento. In alcuni casi, si tratta di opere realizzate con pannelli rettangolari e poi sagomate in epoca successiva. Caso emblematico è la Croce dipinta attribuita al Maestro di San Lucchese, realizzata quando la tipologia sagomata non era ancora in voga e trasformata poi in epoca successiva.

 

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